I motivi musicali della Tradizione Siciliana e il concorso "Daffini per Cantastorie" - Quello del Cantastorie

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I motivi musicali della Tradizione Siciliana e il concorso "Daffini per Cantastorie"

IL GIORNO DI GIOVANNA
Le musiche dei cantastorie
 
 
I motivi musicali della "TRADIZIONE SICILIANA" e il concorso
"Daffini per Cantastorie"
 
 
 
 
Il  Bando del concorso per testi da cantastorie dedicato a Giovanna Daffini iniziato nel 1995,
nell’ambito delle iniziative de “Il Giorno di Govanna”, sin dalle prime edizioni, ha visto
una numerosa partecipazione.
 
Dopo l’iniziale presenza di testi proposti da cantastorie della tradizione ha visto l’intervento
di cantanti che, pur presentando testi di notevole importanza per quel che riguarda  testi e
musiche, si sono progressivamente  allontanati dalle musiche tradizionali.
 
Considerando la validità del concorso per quel che riguarda la continuità della tradizione,
abbiamo già pubblicato una serie di motivi musicali dei cantastorie settentrionali intitolata
“Alcuni buoni motivi”, come proposta del Bando del Concorso realmente per testi da cantastorie.
 
Ora, grazie alla collaborazione di Mauro Geraci, Professore associato di Antropologia culturale,
Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, possiamo
presentare alcune trascrizioni musicali di motivi della tradizione dei cantastorie siciliani,  scelte e
proposte attraverso un ampio e documentato panorama antropologico dei moderni poeti-cantastorie del Sud.
 
Mauro Geraci ha partecipato al Concorso per testi da cantastorie nel 2000 con i testi “Io cantastorie:
lu tappu rapinaturi” e “La parata di lu Vinniri Santu”, ottenendo il Primo Premio.
 
                                                                                 g, v.

CANTASTORIE MA NON ULTIMI
 
Panorama antropologico dei moderni poeti-cantastorie del Sud
 
 
Mauro Geraci
 
(Antropologo culturale, Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne)
 
 
La scomparsa di Vito Santangelo, grande cantastorie di Paternò (Catania) come quella di Ignazio Buttitta di Bagheria (Palermo) - poeta-cantastorie illustrato da Guttuso, tradotto da Quasimodo e in moltissime lingue, le cui opere sono fra le pagine più alte della letteratura dialettale nazionale -, come le scomparse recenti di Francesco Paparo (detto Rinzinu) e Paolo Garofalo, centenario maestro dei cantastorie di Paternò, corrispondono tutt’altro che alla fine del lavoro poetico, musicale, spettacolare dei cantastorie del Sud. Lavoro di cui, negli anni Sessanta, Carlo Levi ebbe modo di apprezzare forse l'unica forma d'informazione, denuncia e spettacolo della quale molti meridionali e siciliani si sentono tuttora protagonisti più che spettatori passivi: «la tradizione dei cantastorie, che vanno di villaggio in villaggio, sulle piazze o nei teatri e cinematografi, e raccolgono le folle ai loro versi e alle loro antiche cantilene, non si è mai interrotta: nei versi e nella chitarra di Ciccio Busacca ritrovi lo schema del passato e le vicende attuali dei banditi, della mafia, dei contadini, dei sindacalisti, del popolo».
 
Dal secondo dopoguerra l’attività di poeti-cantastorie quali Ignazio Buttitta, Orazio Strano, Turiddu Bella, Ciccio Busacca, Vito Santangelo, Matteo Musumeci, Francesco Paparo (Rinzinu), Franco Zappalà, Turi Di Prima, Franco Trincale, Nonò Salamone, Ignazio De Blasi, Fortunato Sindoni risulta infatti arricchita di nuovi spunti espressivi, tematici, conoscitivi solo in parte riconducibili agli ambiti folklorici. Nella cultura popolare siciliana, infatti, chi decide di fare il cantastorie deve dimostrare di sapersi distaccare dai consueti spazi del paese, dalla ritualità che avvolge i canti epici della propria gente; deve abituarsi a cantare lontano dalle piazze paesane  confrontandosi coi grandi spazi della cultura urbana, della comunicazione di massa, dov’è assente lo sguardo rassicurante di familiari e compaesani. “Fuori dal Sud” il cantastorie raffina la propria riflessione critica sulla storia, trova verità e risorse poetiche in altre storie, altre genti, altre opinioni. Poi può tornare nel Meridione a ridare voce nuova ad antiche storie, riproponendole in piazza a un pubblico ora non più ovvio, familiare e accondiscendente ma pronto a cogliere, da colui che è ormai “virtuoso della memoria”, nuove provocazioni morali che i vecchi canti narrativi possono ancora veicolare se documentati e sollecitati in modo opportuno.
 
Certo, la difficoltà nell'ottenimento degli spazi pubblici - cui l’AICa (Associazione Italiana Cantastorie, col suo organo informativo Il Cantastorie, rivista oggi anche on line) fa fronte sin dal '47 - è da porre in relazione alle disposizioni critiche, talvolta eversive, che caratterizzano nel complesso voci, quali quelle dei cantastorie, sin dal ’46 partecipi dei movimenti politici attraverso cui le classi contadine siciliane acquisirono una coscienza più precisa dei grandi problemi del paese. Attraverso Ciccio Busacca, già noto per la sua Storia di Turi Giuliano (v. fig. 1) e che Fo inserì subito tra le figure artistiche del suo noto spettacolo Ci ragiono e canto, il Lamentu di Buttitta per la morte di Salvatore Carnevale - sindacalista socialista e vittima della mafia, divenuto anche protagonista del libro Le parole sono pietre di Carlo Levi, del film Un uomo da bruciare dei Taviani, del recente bellissimo romanzo-inchiesta La madre. Francesca Serio di Franco Blandi, nonché della Ballata di lupara del cantastorie Franco Trincale - espresse le riforme che sin dal fascismo prevedevano l’inserimento del Mezzogiorno in una società pluralistica e la persistenza degli assetti latifondisti e delle mediazioni capitalistiche nelle forme cristallizzate della mafia.
 
In anni più recenti troviamo i cantastorie coinvolti nei multiformi tentativi di recupero della tradizione popolare: dalle tournée canzonettistiche ai “festival del folklore”, fino ai convegni scientifici sulla cultura popolare, alle conferenze-concerto nelle università, agli ambiti del folk music revival, ai premi nazionali quali quelli annualmente banditi dall’AICa (nella Sagra nazionale dei cantastorie di Sant’Arcangelo di Romagna), dal Comune di Motteggiana (Mantova) dedicato a Giovanna Daffini, dal Centro studi di tradizioni popolari Turiddu Bella a Siracusa. Attraverso i mass media i cantastorie meridionali hanno raggiunto il pubblico di più paesi e col boom discografico hanno rimpiazzato il commercio di foglietti e libretti contenenti il testo delle loro storie, ballate e sfide poetiche (cuntrasti e duetti) con quello di dischi, cassette, compact disc, audiovisivi destinati a una fruizione privata che, nei circuiti dell'emigrazione, avviene lontano dall'Italia e dall'Europa. Orazio Strano, Ciccio Busacca, Franco Trincale risultano così autori di una discografia ampia e variegata che, accanto a quelle locali come la GS Record o la Sorriso di Catania, annovera tra le sue case produttive etichette come la Rca, la Fonit-Cetra, la Fonola, I Dischi del Sole. Accanto a questa grande è l’autoproduzione discografica di cui, per fare un solo esempio, fa parte il cd in cui Fortunato Sindoni ha raccolto alcune delle sue Ballate contro la mafia, introdotte da una toccante testimonianza dello scrittore Vincenzo Consolo; tra queste quella su Graziella Campagna, la diciassettenne di Villafranca Tirrena (Messina) trucidata nell’’85 a colpi di lupara nel dubbio che, inavvertitamente, avesse sfogliato, avendola trovata dimenticata nella tasca dei pantaloni portati nella lavanderia in cui lavorava per mantenersi agli studi universitari, l’agendina di un ben noto boss mafioso.
 
I mass media hanno inoltre rappresentato un ulteriore terreno d’incontro tra cantastorie, canzonettisti, cantautori e folk singers. Un ambito che se da un lato ha assecondato le vocazioni commerciali di cantastorie come Busacca e Trincale - che, nella Sicilia tra gli anni Sessanta e Ottanta, lavorarono addirittura alle campagne pubblicitarie della Galbani con storie cantate sulle gesta di Galbaliuni, mitico eroe di formaggio inventato per l’occasione, del Latte Ala o della Swatch -, dall’altro ancor oggi contempla l’impegno di Franco Trincale per la riforma dello spettacolo musicale televisivo. Ed è in quest’ambito che si situa la partecipazione di molti cantastorie a programmi radiotelevisivi diversamente ispirati alla logica del folk music revival - pensiamo a Controcorrente e Sottotraccia di Ugo Gregoretti, a Cronache italiane di Pierpaolo Pasolini, a Italia bella mostrati gentile di Ignazio Buttitta fino alle numerose comparse televisive dei cantastorie -; come anche alla piazza telematica che i cantastorie oggi frequentano ampiamente attraverso i social e i loro siti internet. Si pensi, soltanto, alla numerosa produzione di ballate (quali quelle di Franco Trincale) destinate a far riflettere sui problemi planetari sollevati dalla pandemia del coronavirus.
 
L’adesione a tali vasti circuiti comunicativi ha contribuito alla notevole dilatazione della piazza e del pubblico dei cantastorie di pari passo a una relativa italianizzazione del dialetto e a un ripensamento delle forme poetico-musicali siciliane. L’incremento delle canzoni o ballate di breve durata (5’-10’) ha comportato soprattutto una sensibile diminuzione delle storie - veri e propri poemetti su fatti di cronaca o sulla vita di un personaggio un tempo lunghe più di centosessanta sestine od ottave che, cantate e recitate, superavano spesso l’ora e mezza di ascolto - che difficilmente trovano oggi spazio per essere trasmesse per intero o possono essere tagliate senza considerevoli perdite di senso. Ci si pone così alla ricerca di nuove forme espressive, garanti di un sapere popolare per il quale non ci si rassegna a essere convocati quali simboli di un “passato esotico”, di un “mondo che scompare” che ancora conserva nell’”ultimo cantastorie” aspetti folkloristici, pittoreschi, telegenici. Qualche anno fa, in questo senso, Trincale riuscì a convincere Radio Sole 24 Ore a chiamarlo ogni giorno alle cinque del mattino per scegliere una notizia economica importante che il cantastorie, nelle due ore successive alla telefonata, trasformava subito in una ballata scritta, musicata e cantata quindi in diretta nel primo telegiornale delle sette. Non ultimi, in tal senso, i versi de L’ultimo eroe, ballata presentata in Calabria, al Vibostar, dallo stesso provocaNtore o folkronista (così ama definirsi) Franco Trincale, che denunciano ancora le riprese esotizzanti, passatiste, «orientaliste», direbbe Edward Said, del cantastorie, che così si trova a essere sì chiamato dai mass media ma al contempo desautorato delle sue attuali e ancore feconde potenzialità critiche e riflessive:
 
 
Il cantastorie
 
catturato in piazza
 
or senza corazza
 
si telesacrificherà.
 
 
Le telecamere
 
son messe a fuoco,
 
mirate, sparate,
 
per voi è un gioco.
 
 
Su, ciak sparate
 
e chiudete stasera
 
l’ultimo eroe
 
della cronaca vera.
 
 
Alla molteplicità dei circuiti comunicativi si accompagna quella di campi tematici che investono le più attuali cronache e questioni sociali, politiche, economiche, culturali. Cronache e questioni che i cantastorie individuano attraverso un’attenta fase di raccolta delle informazioni, condotta attraverso la partecipazione o l’osservazione diretta dei fatti, il reperimento di notizie dalla stampa, dalle fonti radiotelevisive, da informatori appositamente interpellati (poeti, intellettuali, persone coinvolte, testimoni). Per Bella - autore assieme a Orazio Strano della nota storia Turi Giulianu (re di li briganti) ripresa da Scorzese come colonna sonora del film Toro scatenato - i cantastorie devono «saper sfruttare e osservare ogni occasione per esprimere il proprio punto di vista sui più spinosi problemi del momento». Anche Orazio Strano, in proposito, rendeva noto come il suo contrasto poetico sul fumo traesse ispirazione dalla ripetuta osservazione dei litigi fra due cittadini del suo paese, Riposto, vicino Catania. Anche Busacca, nel ’51, debutta nella piazza di San Cataldo con L’assassinio di Raddusa, storia di una ragazza vendicatasi uccidendo pubblicamente in piazza l’uomo che l’aveva violentata; successivamente, nel 1963, Busacca inizia a cantare sulle piazze Lu trenu di lu suli, intenso poema che Buttitta compone narrando in versi la storia di vita di Salvatore Scordo, uno dei 262 emigranti, minatori morti nella nota tragedia di Marcinelle avvenuta l’8 agosto 1956 (v. fig. 2-3). A porre la fase ricognitiva quale promessa della veridicità della narrazione spesso sono gli incipit di ballate quali, sempre di Busacca, La moda di lu 1962:
 
 
Jennu girannu pi tutti li strati
 
di n’zoccu vidu mi pigghiu l’appunti,
 
e poi cumpongu sti beddi raccunti
 
e nta li chiazzi li vegnu a cantà.
 
 
Dal ’58 è soprattutto Franco Trincale di Militello, già cantastorie nei paesi in Val di Catania, a osservare, da cantastorie e da emigrante, la vita nelle fabbriche di Milano, le lotte sindacali e studentesche, i drammi dei disoccupati, esplicitando le sue denunce in un vastissimo repertorio di storie e ballate, come attraverso veri e propri carteggi intrattenuti con esponenti del mondo politico e istituzionale quali Berlinguer, Pajetta, Pannella, Capanna, fino a Di Pietro cui è dedicata la raccolta Trincale ’92 - Storie di mafia, politica e tangenti. Anche Trincale restituisce l’immagine del cantastorie che «attinge la notizia alla fonte - quartiere proletario, case occupate, fabbriche in lotta, lotte dell’emigrazione, manifestazioni politiche - e la propaga nello stesso spazio per discuterne i contenuti con i diretti protagonisti. Poi tramite la forma acustica la propaga agli altri quartieri o città con la stessa realtà per farne esplodere le contraddizioni e comunicare le esperienze di lotta dei luoghi dove è stata attinta la notizia, che è diventata “ballata”. Nello stesso tempo riceve il giudizio critico di classe e nello stesso spazio attinge i mezzi vitali per la sopravvivenza». Così, raccogliere contenuti e testimonianze dirette partecipando all’occupazione delle case popolari di Via Tibaldi organizzata a Milano dagli operai dell’Alfa negli anni Settanta, per Trincale significò assolvere a un «dovere irrinunciabile». Accadde che negli scontri tra polizia e occupanti morì un bimbo di sette mesi in braccio alla madre: nacquero Via Tibaldi, Quelli dell’Alfa, Scuola di classe, ballate che resero insanabile la frattura tra il militante Trincale e la “linea morbida” fin da allora adottata dal PCI. La faticosa resistenza tuttora intrapresa da cantastorie affermati come Trincale nei confronti di amministrazioni comunali sorde agli artisti di strada, testimonia ancora come l’incessante rapporto con la folla sia per i cantastorie fonte inesauribile e cartina di tornasole della loro cronaca, della loro poesia narrativa. Non ultimo giunge, in questo senso, l’entusiasmo con cui Trincale è stato accolto nel 2017 dagli studenti dell’Università di Messina, come della Facoltà di Lettere dell’Università «La Sapienza» di Roma, in occasione di vivaci conferenze-concerto organizzate tra il 2000 e il 2008 dal sottoscritto. Attraverso ballate ormai divenute classiche - quali quella sui braccianti di Avola uccisi dalla polizia per conto dell’aristocrazia latifondista (la «carni di macellu siciliana / c’ammazzanu sti figghi di buttana») – e d’attualità quali quelle dedicate a Quel boss di Bossi, al ritorno di Bettino Craxi in Italia («Torna l’Italia aspetta te / torna ca si nun torni tu / qua non si ruba più» sulle note ironiche della celebre canzone napoletana Torna), alla morte di Lady Diana, all’omicidio dello stilista Versace, al fatto che anche se disoccupati Ora semu europei, al caso O ‘Dell e alla pena di morte, Trincale ha dimostrato ancora una volta come la cronaca dei cantastorie costituisca una grande riflessione critica e pubblica della realtà e sulla realtà che ci circonda. Progetto di ri-flessione poetica dove la piazza - ce lo ricorda il «teatro dialettico» di Brecht che fu grande cultore dei cantastorie tedeschi (bänkelsänger) - è al contempo spazio di militanza e di lucido estraniamento, di re-citazione ma anche di rimessa in discussione delle versioni troppo consuetudinarie della storia. In Un seculu di storia, dove Buttitta ripercorre le tappe principali del progetto che, sin dal 1860, non ha visto che la perpetua negazione della cultura popolare, a un certo punto, dopo i noti fatti di Bronte che videro Bixio ordinare la fucilazione di chi, come l’avvocato Nicola Lombardo, lottava per la liberazione delle terre dal dominio della borghesia fondiaria, torna la tragedia di Turiddu Carnivali: precisato tra parentesi, il procedimento è ancora quello che ricorda il brechtiano «effetto di estraniamento», del parrari direttamente cu iddi, martiri della storia; di farsi cuntari la storia dal protagonista che ha provato a non rimanere calatu facendosi torcere la schiena dalla storia, ma che, quando sorretto da un populu torci la storia.
 
Mediatori di una storia popolare materialmente istruita, presentata e ragionata a partire dalle forme estranianti delle strofe e delle scene dipinte sul cartellone, anche sotto il profilo musicale i cantastorie sono vivaci mediatori tra cultura cittadina e cultura contadina. Nelle loro prospettive musicali confluiscono: 1) elementi desunti dai ballabili delle orchestrine artigiane locali che, in una cornice oggi sempre più dominata dal liscio, riplasmano tratti propri delle danze tradizionali contadine e tratti della musica leggera; 2) elementi mutuati dalla canzone d’autore, sia essa quella dei posteggiatori romani e napoletani, dei cantanti sanremesi o dei più moderni cantautori; 3) elementi di provenienza folklorica legati ai modelli iterativi propri della canzone narrativa di tradizione orale o a quelli declamatori presenti nelle sfide poetiche carnevalesche come nel cunto e nell’opra dei pupi siciliani. Sebbene l’uso della scrittura e della stampa appaia decisivo nella prospettiva culturale dei cantastorie, al livello musicale esso appare ridotto. Certo la prassi di Leonardo Strano (figlio del grande Orazio Strano di Riposto, anche lui ottimo cantastorie ma di recente scomparso) tesa a «mittiricci ‘a musica» a testi poetici precedentemente «cumposti», magari riadattando per l’occasione modelli musicali ripresi da canti popolari di tradizione orale, sembrerebbe più ricollegarsi ai criteri di composizione scritta diffusi negli ambienti musicali culti (si pensi alla pratica della citazione musicale come ai rimaneggiamenti delle romanze da salotto, alla musica nazionale di Bartók come ai sincretismi di molta canzone d’autore) che all’improvvisazione generativa comune a gran parte del folklore musicale di tradizione orale. Sebbene alcuni usino il pentagramma per appuntare, elaborare o conservare la linea melodica della voce o le sequenze ritmico-armoniche affidate alla chitarra, nei cantastorie la notazione scritta non è consuetudinaria. Ci si limita a fissare sulla carta la tonalità, gli accordi, il tempo, il nome di moduli musicali appresi o elaborati oralmente sulla base della struttura metrica del testo. Nel quaderno su cui Orazio Strano raccoglieva i suoi testi poetici, alcuni di essi risultano corredati di informazioni relative al tempo - valzer, a tarantella ecc. -, al tonu - Re minore o maggiore, La, Mi e Do -, alle eventuali modulazioni - passa al La, diventa Fa -, al nome del modulo musicale quando ripreso da altre storie o da altri repertori quali quelli canzonettistici napoletani - alla Rita e Matteo, Giuliano, ‘U surdatu innamuratu, Quannu mammeta t’ha fatto ecc. L’indifferenza, intuì l’etnomusicologo Diego Carpitella, con cui i cantastorie siciliani si dibattono tra i sistemi generativi propri del folklore musicale e quelli implicanti tracce di notazione scritta - appresi soprattutto dai suonatori delle orchestrine locali, o dai canzonettisti e cantautori contattati durante i loro spettacoli - tuttavia si spiega solo riflettendo sul ruolo che la musica svolge nell’intero progetto spettacolare e conoscitivo del cantastorie.
 
La performance dei cantastorie si avvale, infatti, degli infiniti punti intermedi che raccordano il registro cantato, quello declamato e parlato. Indotte dalla drammatizzazione, tali sfumature s’insinuano nelle strutture musicali rendendo spesso indecifrabile il passaggio dall’intonazione recitata-parlata a quella cantata che così appare spesso indeterminata negli attacchi e nelle note. Eccetto brevi preludi, intermezzi e finali strumentali che, nel definire l’ambiente sonoro con cui si presenta la storia, ripercorrono essenzialmente la linea melodica e armonica del canto, la melodia risulta esclusivamente affidata alla voce. Caratterizzato da una sostanziale linearità (rari sono gli intervalli superiori all’ottava) il modello melodico ricalca generalmente l’estensione della strofa o del ritornello; l’accompagnamento di chitarra ne definisce l’ossatura ritmica (binaria o ternaria) e armonica che produce relazioni con forte attrazione della dominante e sottodominante, cadenze tipicamente tonali, settime di dominante, ricorrenze di cadenze perfette, frequenti passaggi tra maggiore e minore nella stessa tonalità ecc. Leonardo Strano arriva così a sostenere come, al livello musicale, «il vero cantastorie è rozzo, dev’essere rozzo e semplice. Mio fratello Vito nelle sue storie metteva passaggi complicati con la chitarra, tarantelle, acuti, arrangiamenti e tutti ‘sti cosi… Ora questi a lungo andare stancano il pubblico, sono difficili da mantenere, li fanno i canzonettisti e per questo mio fratello poi non è riuscito a fare il vero cantastorie. La musica del cantastorie a ogni strofa dev’essere sempre uguale; l’unica cosa sono i bassi. Mio padre diceva che il ritmo dei bassi della chitarra si deve sentire sempre».
 
Incanalare l’attenzione degli spettatori entro uno spazio dialettico di confronto in cui una serie di eventi e valori viene riesposta al ragionamento collettivo, per i cantastorie si traduce nella difficoltà di mantenere vivo l’ascolto del pubblico per il tempo necessario affinché la storia venga non solo interamente cantata e recitata nelle sue varie parti, ma arricchita di tutti i commenti e risvolti problematici che essa suscita sul momento. L’alternarsi di strofe cantate e recitate, gli improvvisi interventi parlati, il carattere lineare della melodia o, in Trincale, il limitarsi a quelli che egli definisce «accordi da barbiere», figurano quali strategie tese, lo notava già Orazio Strano, a sostenere (susteniri) o ad accompagnare (accumpagnari) l’elaborazione critica e spettacolare di un testo poetico (puisia). Articolazioni musicali variabili e complicate oscurerebbero l’intellegibilità delle parole, finirebbero per appesantire e assorbire del tutto l’attenzione degli ascoltatori sviandola dagli altri canali espressivi previsti dal progetto narrativo. Inoltre finirebbero per sottolineare al livello acustico alcune movenze e interpretazioni della storia a discapito di altre, contravvenendo all’esigenza propria del cantastorie di riazzerare il giudizio critico attraverso una presentazione dei fatti e dei contrasti morali in una forma oggettiva che li vuole in primo luogo appiattiti nelle uniformi ricorrenze dei quadri metrici e musicali, in quelli pittorici del cartellone, e, secondariamente, ragionati e commentati nel rapporto estemporaneo con gli ascoltatori. Insomma, per essere funzionale al progetto narrativo la musica dei cantastorie deve ricalcare uno schema ritmico, armonico e melodico ripetuto, di andamento uniforme, riadattabile a un intero repertorio di ballate e suscettibile di ridefinizioni che sfruttano i margini di creatività concessi dall’intero sistema rappresentativo. Nei cantastorie la musica sancisce l’incontro tra la voce e l’ascolto; esige che tra ciò che viene pronunciato e ciò che viene inteso esista l’evidenza più completa dei contrari, delle doppie morali. La pluridimensionalità del sapere poetico dei cantastorie passa quella musicale che scaturisce dalle contraddizioni tra suoni e silenzi, simmetrie e asimmetrie, orizzonti melodici e vertici armonici, parlati, declamati e cantati, proprietà partecipanti del suono e proprietà estranianti. Lo scopo è configurare una dimensione totalizzante dove si renda possibile un’organizzazione del sapere che non ne nasconda le contraddizioni ma che anzi cerchi di esplorarne origini e ragioni attraverso l’equilibrata articolazione di svariati e interagenti supporti espressivi: la stampa, la scrittura, la musica, l’oralità, il gesto, la grafica e via dicendo.
 
Quale forma di amore per le verità degli uomini, il pensiero dei cantastorie - con le sue doppie morali, le sue intermediazioni socioculturali, il suo essere al tempo stesso partecipe ed estraniato rispetto ai fatti, mutevole come la folla delle piazze - ha come scopo quello di smascherare gli intrecci scuri di ogni vicenda. Il finale di Amuri, morti e sirinata amara di Ciccio e Nino Busacca potrebbe, così, suonare come sfida o come raffinatissimo, sarcastico avvertimento lanciato ai megalomani, ai narcisisti, ai presuntuosi, ai potenti artefici o divoratori della storia degli altri:
 
 
Contru lu veru amuri non luttati
 
Pirchì contru l’amuri pirdiriti,
 
l’amuri vinci qualsiasi intricciu
 
pinsati chi scriviu Busacca Cicciu,
 
e non ci jti contru a lu distinu
 
pinsati chi scriviu Busacca Ninu.
 
 
                                                                                                                                   Mauro Geraci
 
 
 
 


Riferimenti bibliografici
 
 
 
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Buttitta A.
 
1963-66 «Le "Storie" di Vitu Santangilu», Annali della Facoltà di Magistero, IV-VII, Palermo
 
1971 «Le "storie" di Vito Santangelo», in Ideologia e folklore, Flaccovio, Palermo, 1971, pp. 149-160
 
1979 «Morfologia e ideologia nelle storie dei cantastorie siciliani», in Antropologia e semiotica, Sellerio, Palermo, pp. 134-147.
 
 
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1923 Sintimintali, prefazione di G. Pipitone Federico, Sabbio, Palermo.
 
1963 Lu trenu di lu suli / La vera storia di Salvatore Giuliano, con prefazione di R. Leydi e introduzione polemica di L. Sciascia, Edizioni Avanti!, Milano, 1963.
 
1968 La paglia bruciata. Racconti in versi di Ignazio Buttitta, prefazione di R. Roversi e nota di C. Zavattini, Feltrinelli, Milano, pp. 7-12
 
1977a La peddi nova, prefazione di C. Levi, Feltrinelli, Milano (I ed. 1963).
 
1977b Io faccio il poeta, introduzione di L. Sciascia, Feltrinelli, Milano (I ed. 1972).
 
 
Carpitella D.
 
1961 «Retrospettiva del cantastorie», in F. Rocchi (a cura di), Un secolo di canzoni. Fogli volanti, Parenti, Firenze, pp. XVII-XVIII.
 
 
Detienne M.
 
1992 I maestri di verità nella Grecia arcaica, Mondadori, Milano (ed. or. 1967).
 
 
Geraci M.
 
1996 Le ragioni dei cantastorie. Poesia e realtà nella cultura popolare del Sud, prefazione di L.M. Lombardi Satriani, Il Trovatore, Roma.
 
1997. «Le cronache dei cantastorie», Nuove Effemeridi, vol. X, 40, pp. 94-113.
 
2002 «Ignazio Buttitta e i silenzi dei poeti in piazza», in Il silenzio svelato. Rappresentazioni dell’assenza nella poesia popolare in Sicilia, Meltemi, Roma, pp. 115-144.
 
2004 «Franco Trincale, il cantastorie costruito dagli operai», Il cantastorie, 98, n.s. 66: 34-35.
 
2005 «Conversazioni con Fortunato Sindoni», Il cantastorie, 69, n.s. 101, pp. 53-63.
 
 
Leydi R.
 
1959 La piazza. Spettacoli popolari italiani descritti e illustrati, Edizioni del Gallo, Milano.
 
 
Leydi R. - Vinati P.
 
2001 Tanti fatti succedono nel mondo. Fogli volanti nell'Italia settentrionale dell'Otto e del Novecento, con cd allegato, Grafo, Brescia.
 
 
Lombardi Satriani L.M.
 
1973 Folklore e profitto. Tecniche di distruzione di una cultura, Guaraldi, Rimini.
 
 
Pandolfi V.
 
1958 Copioni da quattro soldi,  Landi, Firenze.
 
 
Rocchi F.
 
1961 (a cura di) Un secolo di canzoni. Fogli volanti, con saggi critici di D. Carpitella e A. Rossi, Parenti, Firenze.
 
 
Santangelo V.
 
2006 La mia vita di cantastorie. Vicende autobiografiche di Vito Santangelo curate e introdotte da Mauro Geraci, a cura di Mauro Geraci, La Ricerca Folklorica – Testi, Grafo, Brescia.
 
 
Tomasello N.
 
Cicciu Busacca. Cantastorie, pref. di M. Geraci, Iti Cannizzaro, Catania.
 
 
Trincale F.
 
1979 Dieci anni in piazza. Analisi strumenti presenza per la rivoluzione comunista, Pellicanolibri, Catania.

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3


Didascalie trascrizioni:
Fig. 1. Modulo musicale utilizzato da Cicciu Busacca per la sua Storia di Turi Giuliano. Trascrizione di Girolamo Garofalo (Disco Music EPM 30002).
Fig. 2-3. Trascrizione de Lu trenu di lu suli (versi di Ignazio Buttitta) così come cantato da Cicciu Busacca. Trascrizione di Gabriella Santini (Chants d’Italie, a cura di S. Facci e G. Santini, Cité de la musique, Paris 2012).

Mauro Geraci

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