Tesi di laurea e mondo popolare - Quello del Cantastorie

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Tesi di laurea e mondo popolare

EVENTI
 
6. ANALISI LINGUISTICA DEI MAGGI DRAMMATICI
 
 

6.1   Profilo linguistico dell’Appennino emiliano
 
 
Seguendo gli studi effettuati da Fabio Foresti235, l’Appennino parmense, reggiano, modenese e parte di quello bolognese hanno subito l’influsso della cultura e della lingua toscana, mentre la provincia piacentina e l’area a essa limitrofa del parmense sono state influenzate dalla cultura lombarda e genovese.
 
Parimenti al territorio toscano, i poeti popolari dell’Appennino reggiano e modenese scrivevano Maggi Drammatici, satire, stornelli, contrasti e ottave rime; quest’ultima, ad esempio, praticamente assente nell’Italia settentrionale, è invece tipica della Toscana, del Lazio e dell’Umbria, oltre che della montagna reggiana e modenese: ciò è avvenuto per la storica vicinanza culturale ed economica tra il versante emiliano dell’Appennino e quello toscano, legati, almeno in passato, da consistenti flussi di emigrazione, come si è visto nei Capitoli precedenti.
 
Queste aree erano, fino a pochi decenni fa, quasi esclusivamente dialettofone; secondo le indagini di Foresti, l’italiano fu, almeno fino agli anni Sessanta-Settanta del Novecento, una lingua poco praticata dalla popolazione e comunque relegata a una dimensione formale e non quotidiana236. Riportando i dati ISTAT del 2006237, la diffusione dell’italiano in Emilia-Romagna è piuttosto alta rispetto alle altre regioni d’Italia: è diminuito drasticamente il numero dei dialettofoni esclusivi e aumentato quello di coloro che si esprimono unicamente in italiano, mentre la percentuale di chi parla sia italiano sia dialetto è del 28,3%.
 
 
                           
  
235 Fabio Foresti è stato Docente di sociolinguistica presso l’Università di Bologna e si occupato di storia della lingua italiana, lessicografia, dialettologia e tradizioni popolari. In questo caso si cita il suo Profilo linguistico dell’Emilia- Romagna, Laterza, Roma-Bari, 2009.
 
236 Contestualizzando la diffusione dell’italiano tra la popolazione medio-bassa dell’Emilia Romagna, Foresti [2009] documenta che ciò avvenne solo dalla seconda metà del Seicento, anche se tale lingua rimase relegata a un ambito non quotidiano e prevalentemente cittadino. Durante questo secolo ebbe grande diffusione il melodramma, nel Settecento gli almanacchi e i lunari, composti in una lingua mista che univa tratti dialettali e italiani, e nell’Ottocento l’opera lirica. Rifacendosi agli studi di Tullio De Mauro, solo nell’ultima metà dell’Ottocento, l’italiano iniziò a concretizzarsi in lingua nazionale, tuttavia con un processo lungo che durò fino alla seconda metà del Novecento. I fattori che contribuirono all’utilizzo dell’italiano da parte della popolazione furono: l’emigrazione e i conseguenti scambi epistolari con le famiglie di provenienza; l’urbanizzazione e lo sviluppo economico, la creazione di un esercito nazionale e la diffusione della stampa periodica. Il ruolo dell’istruzione non fu un fattore così determinante: pochi, infatti, erano coloro che si potevano permettere di frequentare le lezioni scolastiche, soprattutto se bambine, così come le scuole erano spesso poche, fatiscenti e formate da classi affollate; il numero di giovani che aveva accesso a un livello di istruzione più alto era esiguo, mentre spesso gli stessi insegnanti delle scuole erano semi-analfabeti. Secondo De Mauro, l’istruzione contribuì comunque ad ampliare le possibilità comunicative dei bambini, permettendo loro di accedere a una koinè dialettale più estesa rispetto al particolare dialetto parlato nei loro paesi o città. Negli anni Venti del Novecento grande importanza ebbero il cinema, almeno nelle aree cittadine, e la radio; la Prima Guerra Mondiale creò nuovi scambi culturali e dunque linguistici. A partire dal Secondo Dopoguerra, l’istruzione contribuì ad alfabetizzare la popolazione e a incrementare l’impiego dell’italiano, anche se, fino agli anni Sessanta, i territori rurali e periferici, e in generale le classi basse, erano ancora dominate dalla dialettofonia e da tassi di istruzione bassi e che non andavano oltre la Licenza media. Altri elementi fondamentali furono: lo sviluppo economico, l’aumento dell’occupazione nel settore secondario e terziario, l’urbanizzazione, l’emigrazione e la televisione.
 
237 Questi dati sono riportati in un saggio della D’Agostino [2007], la quale sostiene, ad ogni modo, che le percentuali cambino lievemente se ci si sposta dalle aree centrali ai territori periferici, più conservativi e caratterizzati da un uso più massiccio del dialetto.
 
 
 
 

 
6.2   La lingua dei Maggi Drammatici
 
 
Nei Maggi Drammatici hanno agito e agiscono tre livelli linguistici: il risultato che emerge è l’utilizzo di una lingua mista e non uniforme.
 
In tutti i copioni, da quelli antichi a quelli contemporanei, è impiegato l’italiano aulico e solenne; se ora esso è il registro tradizionale del Maggio, originariamente doveva essere stato appreso dalla letteratura colta, in particolare dai poemi cavallereschi, dai melodrammi e dall’opera lirica.
 
Nei Maggi antichi e moderni l’altro livello linguistico è rappresentato dall’italiano popolare, cioè quella forma di italiano utilizzata, soprattutto nella sua forma scritta, da coloro che non disponevano di un alto livello di istruzione e che partivano da basi dialettofone, ma che comunque cercavano di esprimersi attraverso la lingua nazionale. Ciò diede vita ad alcuni fenomeni linguistici, tra cui: l’assenza o l’inserimento impreciso dell’interpunzione, l’utilizzo particolare delle maiuscole, degli accenti, degli apostrofi, dell’h, le parole mal scisse, le degeminazione e le aggeminazioni, il passaggio da c a q e gli ipercorrettismi. Tra i tratti morfologico-sintattici: l’uso peculiare degli articoli, delle preposizioni, del congiuntivo, della flessione verbale e la non concordanza tra soggetto-verbo e singolare-plurale.
 
Nei Maggi contemporanei, invece, l’italiano popolare non sussiste, dal momento che, al giorno d’oggi, gli autori sono maggiormente istruiti e non più dialettofoni esclusivi; al contrario, accanto alla lingua aulica e altisonante, vi è l’italiano neostandard, cioè l’italiano d’uso quotidiano. Tra le caratteristiche più frequenti: la dislocazione, il nominativus pendens, il c’è presentativo, la frase scissa, l’imperfetto di cortesia, la sostituzione del futuro semplice e del congiuntivo col presente indicativo e del passato remoto col presente indicativo. Per quanto riguarda i pronomi, l’uso di lui, lei, loro come pronomi personali soggetto, la sostituzione di le e loro con gli, ci per vi, questo o quello per il neutro ciò; il che polivalente, l’uso di cosa in luogo di che cosa e la sostituzione dell’ausiliare essere con venire238.
 
Nei seguenti Paragrafi la lingua dei Maggi sarà analizzata sulla base dei quattro assi di variazione sociolinguistica: quello diacronico, quindi l’evoluzione cronologica, quello diatopico, cioè l’influenza esercitata dalla lingua e dal dialetto di provenienza degli autori, quello diastratico, l’azione del ceto sociale sul linguaggio impiegato; quello diafasico, quindi il mutare della lingua a seconda del contesto, fenomeno evidente nelle ottave, nei sonetti e nei prologhi.
 
 
L’asse diamesico, cioè le differenze tra l’oralità e la scrittura, non è stato preso in considerazione: il canto dei maggiarini, visto anche il ruolo centrale del suggeritore, non diverge rispetto al copione scritto, mentre il Buffone non faceva fede sul testo scritto, bensì sull’improvvisazione.
 
In generale, è l’italiano aulico e fissato in forme linguistiche ricorrenti, prima di tutto lessicali, a intervenire con maggiore frequenza. Gli altri due registri sono evidenti soprattutto dal punto di vista diacronico, poiché, come si è detto, il primo sussiste nei Maggi antichi e moderni, il secondo in quelli contemporanei.
 
Difficile appare definire l’esistenza di divergenze linguistiche tra l’area toscana e quella emiliana: in passato, i testi dei Maggi erano acquistati in Toscana e poi rimaneggiati, ma quanto tali modifiche abbiano inciso sul copione non è dato sapersi, viste le molte varianti che circolavano e l’impossibilità di indicare un originale. Inoltre, le differenze diatopiche sono labili: la base linguistica dei copioni antichi potrebbe essere rappresentata dalla varietà toscana, che, tuttavia, fa raramente la sua comparsa ed è osservabile per l’uso della forma impersonale e della monottongazione. Su questo registro possono essere innestati alcuni tratti locali del dialetto emiliano, ma pur sempre poco frequenti e visibili solo nelle parti del Buffone. Per i Maggi composti verso la fine dell’Ottocento, vi è maggiore certezza in merito all’area di composizione, ma le varianti locali sono ancora più isolate: il linguaggio maggistico si era già fissato in una tradizione, evidente soprattutto dal punto di vista lessicale.
 
Secondo la variazione diafasica, va tenuto presente che il passaggio da un lessico aulico a un registro popolare o colloquiale prescinde da regole generali e ricorrenti. Vi è piuttosto una tendenza da parte degli autori nel cercare di connotare gli eroi e i momenti patetici con un linguaggio altisonante e sostenuto; il Buffone, quando la sua parte è scritta sul copione, si esprime con un linguaggio più basso, vicino al dialetto o all’italiano colloquiale piuttosto che alla lingua dei paladini. Sporadici sono i casi in cui lo scrittore ha cercato di caricare i Turchi o i nemici di un lessico e una grammatica più poveri, al fine di connotarli negativamente anche linguisticamente.
 

238 Il riepilogo dei tratti tipici dell’italiano neostandard è stato ripreso da Berruto [2003] e D’Agostino [2007].


6.3   Analisi diacronica
 
 
È bene chiarire che, nell’osservare l’evolversi della lingua nel tempo e nel definire quali siano i registri che intervengono accanto all’italiano solenne, non si intende sostenere che, dagli anni Novanta del Novecento, la lingua dei Maggi abbia subito un cambiamento improvviso. Innanzitutto, il lessico colto e arcaicizzante permane anche nei testi contemporanei, seppur in minor misura. Inoltre, molti dei tratti osservati per Maggi attuali e riconducibili all’influsso dell’italiano neostandard sono altresì presenti nei copioni composti dal Secondo Dopoguerra.
 
Ciò che differisce tra i due momenti è la frequenza di queste incursioni familiari o colloquiali e il contesto di utilizzo: nei Maggi moderni è raro osservare fenomeni del genere nelle ottave, nei sonetti e nei passaggi drammatici, cosa che, al contrario, avviene in quelli contemporanei, per via della maggiore forza di azione dell’italiano neostandard sugli ultimi autori239.
 


6.3.1    I Maggi antichi
 
 
I Maggi antichi analizzati sono stati “Maggio sopra Carlo Magno Imperatore” [Valdesalici 2012] e “Maggio” [Conati 1992], d’ora in poi abbreviati rispettivamente MCM e M; oltre alle vicinanze tematiche e rituali già delineate240, diverse sono quelle linguistiche. I registri che agiscono sono due: il primo è quello dell’italiano aulico e poetico, evidente dal punto di vista lessicale, data la ricorrenza di termini fissi come “brando”, “ardire”, “alma” ecc., oppure “fellone”, “iniquo”, “empio”, frequenti durante le battaglie o le liti tra paladini e ripresi dai poemi cavallereschi241.
 
L’altro livello linguistico è quello dell’italiano popolare e familiare poiché, come già si è delineato in precedenza, la lingua madre degli autori di Maggi era il dialetto; per questo, nei due copioni esaminati, abbondano fenomeni quali: la mancanza delle doppie, le parole mal scisse, l’uso particolare della punteggiatura, degli apostrofi, degli accenti.
 
Di seguito sono riportati le più significative caratteristiche di questo linguaggio misto; va tuttavia considerato che non vi è continuità e coerenza tra i due copioni: MCM presenta molte più peculiarità che prescindono dal contesto o dal personaggio che interviene. M tende a far esprimere i Turchi con espressioni ricche di fenomeni riconducibili all’italiano popolare, cosa che sussiste in minor modo per i paladini cristiani, quindi per un probabile intento denigratorio. Allo stesso modo, il Buffone impiega espressioni colloquiali, così da distanziarsi dagli eroi, calarsi nel suo ruolo comico e avvicinarsi al pubblico.
 
Com’è già stato accennato, va notato che i fenomeni grammaticali di seguito riportati non sussistono per il testo nella sua interezza: se in un verso compaiono non è detto che in quello dopo vi siano, cosa che rende difficile l’identificazione di una norma ricorrente, quanto piuttosto di una tendenza di fondo.
 



Analisi fonetico-grafica.

Sono enumerati alcuni esempi delle particolarità grafiche tipiche dell’italiano popolare e del dialetto:
 
· fenomeni che riguardano l’interpunzione, assente o inserita in modo impreciso soprattutto se si  tratta di due punti o virgole: in M è molto frequente la virgola dopo e congiunzione o tra soggetto e verbo: 1,4 “festeggiar con canti, e amori”; 75,1 “si fia pur quel, che bramate”. MCM strofa 38,4 “riverenzia: re: io vo sperando”.
 

·Numerose sono le parole non accentate; le più frequenti sono le congiunzioni, spesso trascritte “perche”, “poiche”, i monosillabi “”, “stà”, “stò”, “qui” e “si” per il “” affermativo. Un uso particolare dell’accento riguarda le terze persone del verbo avere, che spesso mancano anche dell’h: M 12,1ma l’hò detto che l’amore”; 21,3”; in MCM 15,2dei malanni cinque ò sei”. Raramente la terza persona del verbo essere è accentata o è confusa con la congiunzione copulativa “e”, così come anche il “ne” pronome è spesso accentato come il “ congiunzione.
 
Alcuni esempi da M: 1,2 “che tal mese da diletto”; 3,4 “in si lieto, e vago giorno”, con anche l’inserimento impreciso della punteggiatura; 8,2 “cosi a spasso com’andate”; 11,2 “si signor non vo negarlo”. In MCM 6,1 “Lei né giura e dica ancora”, verso in cui si nota anche l’uso dell’indicativo in luogo del congiuntivo; 68,1 “saria”, la forma poetica per “sarebbe” è resa senza accento; 80,4 “che quà giù stano a penare”, con la scempia e l’utilizzo di una locuzione non troppo aulica, non a caso recitata dal Buffone; 65,1-2 “fà a mio modo o re amansore/tu a rivolgi al vero Idio/batezar ti faro io”, dove si nota la mancanza dell’h, dell’accento e della maiuscola, la scempia e la coniugazione del verbo.
 
Come si accennava, non è comunque seguita una coerenza generale: un esempio, in strofe, tra l’altro, vicine: M 56-57 “qua” e “quà”.
 

· Gli apostrofi, spesso assenti nei termini tronchi:po”, v’ò vo pervoglio”; ad esempio in MCM 33,2 il Buffone usa “”, mentre in 37,4 impiega “vo”; 32,3 “se la vince vo che impari”, verso in cui manca l’accento sul “” e l’apostrofo sul “vo’”; 35,4 “presto a l’armi o mio Germano” e 71,4 “alarmi” per all’armi”.
 

· Le degeminazioni: MCM 68,2 il Buffone dice “guera”, “fiascheti”, “bon galeti” e “coste” per “costole”; in 6,3-4se non la bati sopra il sito e di sela gieta fora”; 16,2febre”; 22,4inamorato”; 23,2 apunto”; 25,3asai”; come sempre, un fenomeno non è osservato lungo l’intero testo: a fronte di moltissime242 scempie ricorrenti in tutto il copione, in 8,1-2 vi sono “zechini” e “vorei”, mentre un verso dopo compare “vagheggiare”, in 66,1 “guerrieri” e 79,3 facciamo”.
 
 
· Le aggeminazioni: in M 43,3 “ammanti” per “amanti”; 49,3 “rineghiam vostra nazzione”, fenomeno ripetuto anche in 61,4 e 62,4; in 59,1 “datta” invece che “data”, uso ricorrente anche in MCM 66,1 datte”.
 

·Un tratto presente anche nei Maggi toscani moderni è la sostituzione della m finale con la n: in M
 
4,2 “raddoppian le voci, e i canti” ma in 5,2 “dobbiam”.
 

·Le maiuscole non sempre usate secondo l’uso standard: in M 3,2 “Maggio” e “Aprile”, 21,1 “Mese”, forse perché ci si riferisce al mese di maggio; 35,4Aglio”, 37,3Asino”, ma 63,2turchia” è senza maiuscola, probabilmente per fini denigratori; ciò avviene anche in CMC: se ricorre spesso “Francia”, in 69,4 compare invece turchia”.
 

· Passaggio da c a q: CMC 17,1 “grazia rendo di buon quore”, fenomeno che si ripete anche in 30,3  e in 48,3, mentre in 23,3 la forma utilizzata è cuor”.
 

· Gli ipercorrettismi, tipici in CMC: 10,2 “pugniando”; 26,4 “dalli” per “dagli”; 24,4 “vollia” per “voglia e 43,3volio”, ma in 70,1voglio”; 38,4riverenzia”, ripetuto anche in 48,1; 51,3segnio”; 56,2 “perilio” per “periglio”; 56,3 “gilio”; 57,1 “pilia”; 61,1 “sostiegno”.
 

·Tipico è anche il passaggio da una vocale all’altra: M 20,1 “sopra il suon dello stromento”; 68,3     e 71,1 “malur” e “malura”. In MCM 70,3 “soldano”, verso in cui si nota anche il passaggio dalla dentale sorda a quella sonora.
 

·Diverse peculiarità grafiche riguardano l’impiego della h, sia che essa sia inserita all’inizio sia nel mezzo di una parola; un esempio sono le brevi didascali di M, copione in cui il fenomeno è comunque più contenuto: 56Turcho”, mentre in 52Turco”. In MCM 7,1-2anchor io affermi il detto/di costei che tu ai rato”, dove c’è anche la scempia; 12,1eseguischo il tuo comando”; 16,3 “piage perpiaghe”; 31,2recha”; 32,2certamente non a pari”; 44,3se lo batti ai guadagnato”; 45,4 “il tesor com ai sentito”; 46,3 “nel campo ai da portare”; 72,1 “Carlo Magno a un grande ardire”.
 

· Le parole mal scisse: M 49,4 “gia mai”, anche senza accento; 51,1 “Alto là”; 52,3 “ciocche” per “ciò che”; 58,1 “all’ora” invece di “allora”; 83,2 “in colpiam nostra disgrazia”; 76,4 “ora mai per te e finita”, con anche la mancanza di accento sul verbo essere. È altresì frequente che le parole siano mal scisse con l’inserimento dell’apostrofo: in M 2,4 è evidente la confusione: “all’seren dell’Aure grate”; in MCM 26,2 “dar la viso al re di Francia”; 68,1 “loste”; 69,1 “minvia”; 81,2 “lelemosina”.
 

Analisi morfologica e sintattica
 
 
· L’utilizzo dei pronomi personali complemento in sostituzione di quelli soggetto dipendono dal contesto: nelle ottave, nei sonetti, nei proemi pronunciati dal Paggio oppure nei contesti drammatici e lirici, i Maggi antichi, di norma, impiegano i “egli”, “ella” ed “esso”. Se, invece, interviene il Buffone il livello linguistico si abbassa: in M 6,2 “ella”, mentre in 16,1, poiché sta parlando il Buffone, si trova invece “lei”.
 
Al contrario, CMC, caratterizzato da peculiarità grammaticali più evidenti, impiega sempre e indifferentemente “lui”, “lei” e “loro” come pronomi soggetto: 3,3 “farà lui col fier si marte”; 6,1 “lei né giura e dica ancora”; 24,6 “lui mela cieda in buona volontate”; 24,8 “ma con lei anderò ne le mie terre”; 43,4 “e sia mio se lui mel cede”.
 
I pronomi complemento sono, comunque, impiegati in modo particolare: M 12,4 “va alla dama, e fagli onore”; al contrario, in 31,3, il Buffone recita “pigliarla” che, nonostante il verbo d’uso quotidiano, presenta il pronome giusto. CMC 15,3 “[i malanni] che gli aveste io bramerei”, verso in cui si nota anche l’utilizzo del che polivalente, del passato remoto e del condizionale; 18,1-2 “lei mi dia quel che li piace/guardi qua quanto gli dono”, dove lo stile formale, nel secondo verso, è sostituito da quello informale.
 

· Alcune peculiarità nella flessione verbale: M 11,4 “io promessi riportarlo”, ottonario in cui è assente la preposizione semplice, tratto tipico anche dei Maggi moderni; la didascalia della quartina 19 impiega “compariscono” in luogo di “compaiono”; 55,4 “oppongiate” in luogo di “opponiate”. Al fine di connotare i Turchi in modo negativo, ogni volta che essi intervengono, si esprimono sempre senza coniugare i verbi, utilizzandoli all’infinito o al participio: 35,3 “venir qua restar con noi”; 39,1-2 “gran fortuna aver trovata/che ne dir voi cari amici”; 41,3-4 “noi montati sopra quello/qua sbarcar per nostra sorte”.
 
Le forme del congiuntivo sono spesso devianti: M 6,2 “il buon giorno, ella ne godi”; in MCM 24,1 “si preparano i tesori”, mentre al verso 8,1 il congiuntivo è usato correttamente “ma si avessi dei zechini”, con la scempia; 73,3 “che distrugiano i feloni”, con l’ipercorrettismo e la scempia.
 

· Un tratto tipico dell’italiano popolare è la mancata concordanza tra soggetto-verbo e singolare- plurale: in M 16,1-2 “se lei fosse più vicino/la vedrebbe tanto bella”; 73,3 “voi ci avete liberate”. In MCM il fenomeno è più frequente: 15,1-2 “io ti vo un consiglio dare,/che rivolgi le tue gente”; 3,4 “con li miei guerrier si forte”; 72,1-2 “Carlo Magno a un grande ardire/se con noi vuoi far bataglia”, con la scempia e l’assenza della h; 76,3 “e di forza mie calato”; 80,3 “per le anime purgante”; 52,4 “se per sorta son perdente”.
 
 

239 Interessante è altresì notare l’eventuale evoluzione diacronica della lingua all’interno dei Maggi composti da uno stesso
autore; talvolta è, infatti, possibile che i primi copioni abbondino di fenomeni appartenenti all’italiano popolare, mentre gli ultimi in ordine cronologico no; si prenda, ad esempio, i testi scritti da Alberto Schenetti, menzionato nel Capitolo 4, Paragrafo 6: “La nascita d’Italia”, composta nel 1981, è ricca di particolarità grammaticali proprie del registro familiare e quotidiano; “Matilde di Canossa”, invece, Maggio datato al 1992, impiega una grafia più controllata, tempi verbali coerenti tra loro e costrutti sintattici corretti.
240 Capitolo 3, Paragrafo 2.1.
241 Si è scelto di comprendere l’analisi lessicale dei Maggi antichi all’interno di quella dei Maggi moderni, per via dell’affinità terminologica che sussiste.
 
 
242 Tra queste scempie: 24,3 “combatere”; 34,2 “ribelo”; 41,2 “novela”; 41,3 “donzela”; 46,4 “falire”; 48,3 “atento”; 50,1“ecoti”; 50,4 “eco”; 53,1 “cadese a tera”; 53,4, 57,2, 67,1 “guera”;
55,4 “bela”; 57,3 “tera”; 54,3-4 “idio” e “onipotente”; 55,2 “agrada” ed “lelmeto”, dove si nota anche l’apostrofo mancante; 56,2 “magior”; 60,1 “arendi”; 61,4 “racolta”; 69,3 “qualle”; 70,4 “tropa”; 72,3 “fero” per “ferro”; 74,1 “asalite”; 79,1 “faciam”; 80,2 “abondante”.


6.3.2    I Maggi moderni243
 
 
Come si è detto nel Capitolo 4, Paragrafo 1.2, si sono raggruppati nei Maggi moderni quei testi composti tra la fine dell’Ottocento e gli anni Novanta del Novecento: le differenze sono consistenti rispetto ai copioni antichi, soprattutto per quanto riguarda la varietà delle fonti, la lunghezza del testo e l’assenza dei significati rituali e propiziatori.
 
Dal punto di vista linguistico, nei Maggi moderni continuano ad agire i due registri sopra delineati: l’italiano solenne e fisso in espressioni statiche, e l’italiano popolare; naturalmente, l’esistenza di quest’ultimo livello è più visibile nei documenti di inizio Novecento o composti da autori che non poterono accedere a un medio-alto livello di istruzione.
 
Parimenti ai Maggi antichi, anche in quelli moderni manca la continuità e la coerenza nei fenomeni grammaticali che si susseguono nel testo, tale che si registrano gli stessi termini scritti sia secondo l’italiano standard sia con le peculiarità tipiche del registro popolare.
 

Analisi fonetico-grafica
 
 

Le particolarità fonetico-grafiche sono piuttosto simili a quelle osservate anche per i Maggi antichi e rappresentano una forma di continuità tra i documenti emiliani e quelli toscani, visto che compaiono in tipologia e misura eguale a prescindere dall’area di provenienza. Si vedano alcuni esempi:
 

· imprecisioni nell’uso dell’interpunzione, soprattutto se si tratta di virgole, punti e virgola e due punti; alcuni esempi: “Bovo d’Antona” 120,1-2 “crudo Re tu mi negasti/la tua figlia ài tanto ardire”, con l’usuale congiunzione tra le particolarità grafiche già analizzate per i Maggi antichi e il tipico lessico della tradizione maggistica che ricorre durante le battaglie. InParis e Vienna” 258,2 “queste chiavi a te, consegno”.
 

· Gli accenti, assenti o inseriti dove non dovrebbero andare soprattutto quando si tratta di congiunzioni, monosillabi e terze persone del verbo essere; ne “Il Maggio del Fermino” 39,1 “fin che in capo hai la corona”, mentre in 56,4 “benchè” è scritto con la grafia corretta.
 

· Comuni sono anche le incertezze in merito agli apostrofi: ne “Conte Biancamano” 1,3 “un’ardente amore”; 10,1 “un’esercito”; 161,1 “un’uomo”; 171,2 “un altro”. In “Paris e Vienna” 134,3 “salvo sia dogni periglio”, mentre in 158,1 “e se fu un’indiscrezione”; in 246,4 “d’allofeso genitore”.
 
 
                        
 
 
· Degeminazione: “Costantino” 75,3 “a drama a drama”, corretto nell’edizione curata da Maria Elena Giusti [1980] in “a dramma a dramma”. “Conte Biancamano” 1,5 “Contracambiato”; 12,4 “scetro”; 111,5 “oterai”. In “Eronte” 50,5 “aflizione”. In “Rodomonte” 32,4 “protegesti”; 35,4 “matutino”; 37,3 “malvaggio”. Ne “Il presente e l’avvenire d’Italia” 141,4 “strazziante”. Ne “La pagana senza cuore” 103,3 “malfatore”. Nel “Maggio di Robin Hood” 70,2 “adestrarli”; 119,4 “parasita”; 151,4 “matutino”; 203,3 “afanna” 264,3 “acordo”. Nella “Pia dei Tolomei” 36,2 “coriamo”. Rare, al contrario, sono le aggeminazioni. In “Paris e Vienna” 127,2 “sofrire”; 266,1 “dentro all’orida torrente”, verso in cui si nota anche la non concordanza tra l’aggettivo e il sostantivo.
 

· Gli ipercorrettismi: uso di gl: “Agasta” 58,1 “miglion” per “milion”. In “Brunetto e Amatore” 22,3 “esiglio”. In “Maggio del Fermino” 155,1 “supplicio”. In “La pagana senza cuore” 76,3 “umigliazione”, ripetuto in 115,3 conumigliati”. NeIl Maggio di Robin Hood86,2cavaglier”. Nella “Pia dei Tolomei” 27,4 “esiglia”, ripetuto più volte nel copione.
 

· Le peculiarità nell’impiego delle h nei casi osservati anche nei Maggi antichi: “Bovo d’Antona” 27,4 “la risposta vi à mandato”; 36,3 “se non ài chi ti difende”; 39,4 “Cado haimè trafitto estinto”. Ne “La nascita d’Italia” 9,1 “ora o perso il genitore”; 18,2 “mi ai colpito a tradimento”; 26,3 “se il nemico non l’ò assale”, dove il pronome personale complemento è mal scisso e accentato, probabilmente confuso con la forma del verbo avere.
 

· Parole mal separate: in “Tristano” 50,1 “reso conto lo dovrai”, dove si nota anche la dislocazione a sinistra dell’oggetto diretto e l’assenza dell’articolo; 110,1 “da per tutto o caro conte”. Ne “Il presente e l’avvenire d’Italia” 56,2 “di filato”. In Costantino” 83,3 “fra notturni a sceti eroi”. Ne “La nascita d’Italia” 119,6 “all’imbo”. In “Paris e Vienna” 179,3 “spero al men”.
 

 
· Assimilazione: in “Eronte” 76,3 “dirmi” in luogo di “dimmi”; 87,4 “farmi” per “fammi”; 113,1 darti” per “datti”. Ne “il Conte Biancamano” 198,2 “dell’Italia il grande regno/se formassi avrà la sorte”. Nel “Bovo d’Antona” 87 “non vorrei per mio consiglio/che tu là fosti tradito/da quel Re fosti assalito/e lasciarmi in gran periglio”, quartina in cui manca la assimilazione e vi è una confusione tra la flessione del passato remoto e quella del congiuntivo. Ancora nel “Bovo d’Antona”, 132,3 “lo potesti liberare”. Ne “La sconfitta di Amoriano” 206,3-4 “o mio Dio saresti ingiusto/se a lui desti tal vittoria”; 247,3 “come se tu fosti un figlio”, confusione probabilmente dovuta alla presenza di “fosti” passato remoto tre versi dopo.
 

· Accumulazione di una vocale, sia per rendere più solenne il testo sia per motivi metrici: per questo, ricorrono spesso “vederete”, “siegua”, “anderai”, “intieramente”, “siei”, “vienga”, caderai”.
 
 
 
· Il passaggio da s a z preceduta da r: in “Costantino” 30,3 “assai sparso, assai verzato/ha del  sangue di cristiano”; 102,1-2 “quel Costante tanto amato/da Camilla forze sei?”.
 

· Passaggio di z in s postconsonantica: ne “Conte Biancamano” 113,1-2 “coi segnali e falzi all’armi/io farò che si confonda”, dove si denota anche un uso improprio dell’apostrofo. In “Costantino” 1,1 “uditori a voi m’inchino/per narrar sensa pretese”. In “Eronte” 127,5 “all’aspetto quel guerriero/a me sembra mensognero”. In “Agasta” 28,5 “sensa me di qui partire”. In Pia dei Tolomei” 73,1 mensoniero”.
 

· Nei copioni toscani la m finale delle parole tronche è sostituita da n: in “Tristano” 41,1-2 padre pronti all’ubbidienza/noi faren quanto concordi”; 3,4 “ne faren grazioso omaggio”; 75,2 “sorte avren sempre vicini”; 96,1 “Dunque andian! Sarò ubbidiente”; 110,4 “affrontian lo scorno e l’onte!”, dove si nota anche la dittologia; 120,3 “su partian senza tardare”. In “Agasta” 91,4 “porteren sol per esempio”; 92,5 “ne faren di tutto un dramma”; 95,1-2 “là corrian senza indugiare/rivolgian l’orgoglio altero”; 97,1 “ai nemici sian di fronte”; 114,3 “sian cristian, sian battezzati”; 117,3-4 “che faren mio caro bene?/Sian cristian, sian sposi, o Dio!” 120,4 “hai l’immagin di mio figlio”; 125,4 “noi ne andren ed i suoi ancora”.
 

· Talvolta la grafia di alcune parole è influenzata dall’asse diatopico; per quanto riguarda i copioni toscani: in “Costantino” 4,1 “asapere”, corretto in edizione critica [Giusti 1980] con “sapere”; 141,2 “si rasciughi il mesto pianto”. In Maggio” 42,2-3-4 “se piaser nostra persona/star noi figli di corona/voi vestir di ricchi ammanti”. In “Eronte” 18 3-4 “sono Adelmo e ben abbada/a pararti i colpi miei”.
 

243 Per effettuare l’analisi linguistica dei Maggi moderni sono stati presi in considerazione sia i copioni toscani sia quelli emiliani; tra di essi: “La casta Susanna”; “Il conte Biancamano”; “Costantino”; “Eronte”; “La guerra di Troia”; “Agasta”; “Tristano, il figlio della contessa”; “Bovo d’Antona”; “Rodomonte”; “Maggio di Robin Hood”; “Pia dei Tolomei”; “Il presente e l’avvenire d’Italia”; “Re David”; “Brunetto e Amatore”; “Ventura del Leone”; “Costantino e Massenzio”; “Gerardo di Fratta”; “La nascita d’Italia”; “Matilde di Canossa”; “La pagana senza cuore”; “Miedo”; “La Gerusalemme Liberata”; “Il Maggio del Fermino o i misteri del monte Oziero”; “Paris e Vienna”; “Carlo Magno”; “La freccia nera”; “Orazio del Leone”; “Roncisvalle”; “Petrus Maria Rubeus”; “Isoletta”; “Macbeth”; “Ivanhoe”; “Antigone”; “Barabba”; “La sconfitta di Amoriano”. Per l’autore e l’eventuale pubblicazione di questi Maggi si rimanda alla Bibliografia.

Analisi morfologica
 
 

· Diversi sono gli utilizzi particolari dei pronomi:

- di norma, i Maggi moderni impiagano i pronomi personali complemento con la funzione di soggetto; l’utilizzo di ei, egli, ella ricorre nei contesti drammatici o lirici per impreziosire lo stile, ma ciò non vale come norma generale e sempre ricorrente. Ad esempio: nel “Bovo d’Antona” 18,3 “da me cosa ella desìa”, verso in cui si nota anche l’accento su “desìa”, raro nei Maggi più antichi, mentre in 24,3, tra l’altro in una quartina piuttosto lirica in cui si sta dichiarando il proprio amore, lo stesso personaggio recita lei”.

- Accade altresì che i pronomi personali complemento non concordino con la persona di riferimento: nel “Conte Biancamano” 82,3 “dal Biancamano/a recarle di mia mano”; nel “Bovo d’Antona” 150,4 “portargli” quando ci si riferisce alla giovane Drusiana; 110,4 “e ci chiama noi codardi”. In “Rodomonte” 10,1 “lui ci viene a ritrovare”. Ne “La pagana senza cuore” 54,3-4 io non sono la donzella/che tentavi a dargli morte”. Nella Pia dei Tolomei 6,1-2 vengan pur Duci
e guerrieri/a mostrare il suo valore”, verso in cui c’è il passaggio da loro a suo, tratto tipico del toscano popolare.

- Spesso i pronomi sono impiegati in modo pleonastico o riflessivo, per dare maggiore solennità alle vicende: nel Bovo d’Antona 102,1 io mi rido del suo detto”, ripetuto in 116,1“io mi arrido della sorte”, con l’influenza dialettale; 265,3-4 “ed anch’io posar quest’armi/e godermi alla fresc’ombra”; 272,1-2 “un ladron con falso inganno/mi rapì la mia consorte”; 279 “Pulican gradito a Corte/io la vita ti salvai/per compenso tu mi dai/allo sposo mio la morte”; 328,4 “o crudel destin mi è stato”. Ne “I Fratelli ammutinati” 36,1-2 “secondino accompagnarmi/vieni meco a me d’appresso”; 166,3-4 “a te pur prima di sera/ti si schiuderà la tomba”.

- Non sempre il pronome personale complemento è inserito nella parola come enclitica, sempre al fine di rendere lo stile più altisonante: nel Bovo d’Antona 222,1-2 ciò di far contento sono/deh mi rechi l’armamento”. In “Rodomonte” 14,4 “dissanguare a te le vene”; 21,3 “tu mi guidi pel sentiero”; 57,4 “qui mi attendi e non partire”. Nella “Pia de’ Tolomei” 70,1 “deh ti placa e rasserena”.

- Altre volte il pronome manca del tutto: in “Rodomonte” 10,4 “lui di me vuol vendicare”; sempre in questo copione compaiono spesso i passati remoti uniti al complemento di termine enclitico: ad esempio, “Rodomonte” 38,2 “consegnommi”; 39,4 lasciommi”.

- Un’ultima particolarità che compare frequentemente sia nei Maggi moderni sia in quelli contemporanei, è l’uso di gli come soggetto, fenomeno comune nell’uso toscano ma presente anche nei copioni emiliani; in “Tristano” e “Bovo d’Antona”, due testi toscani, compaiono rispettivamente: 166,1 “dunque orsù giunta gli è l’ora”; 198,4 “questo gli è Bovo d’Antona”. Per i copioni emiliani: “I Fratelli ammutinati” 71,4 “questa gli è la tua rovina”; 72,1 “se gli è ver che ho rinnegato/per amore il nostro dio”. Ne “La sconfitta di Amoriano” 56,2 “già che morto gli è Amoriano”; 74,1-2 mio sovran son di ritorno/la risposta gli è di guerra”. Ne La nascita d’Italia” 128 “il re Blosio con coraggio/mi affrontava inviperito/e Gardone gli è sparito/dalla corte e dal villaggio”. Ne “Il mistero del Sultano” 38,1 “quell’insegna gli è cristiana”.

· Impiego di suffissi particolari che permettono di impreziosire lo stile:
- in –ade, soprattutto per i sostantivi femminili astratti; i più ricorrenti sono: “beltade”, “bontade”, “libertade”, “pietade”, “cittade”, “caritade”, “viltade”, “etade”, “crudeltade”, “nobiltade”, “impuritade”, “infedeltade”, “onestade”, “volontate”, con passaggio dalla dentale sonora a quella sorda;
-  in–zione, come i frequenti “afflizione” e promissione”;
-  in –tarlo, tipico “seguitarlo” al posto di seguirlo”;
-  in –glio, come “periglio” per pericolo”;
-  in –mente/o, anche per motivi di rima: “prestamente”, “immantinente”, “ferimento”, “arditamente”;
-  in –ore: “perditore”, “genitore”, spesso in luogo di “padre”, madre”;
-  in –io/a: “patrio”, “gagliardia”, “bramosia”, “genia” e i rari congiuntivi in  –ìa, come “temerìa” o “avrìa”;
-  in –ate: frequente è podestate”;
-  in –za: “allegrezza”, “lestezza”, “destrezza”, “temenza”, “fidenza” in luogo di fiducia”;
-  in –bondo, come sitibondo”.
Rispetto a questa ricchezza di suffissi, talvolta essi mancano del tutto, peculiarità tipica dell’italiano popolare: nel “Bovo d’Antona” 121,4 “non lagnarvi o Cavalieri”; 117,4 “mio prigion” in luogo di “mio prigioniero”, fenomeno molto comune anche negli altri Maggi.
 

·I Maggi composti nel Novecento si contraddistinguono per l’utilizzo di tempi verbali, il condizionale, il passato remoto e il futuro semplice, che nell’italiano dell’uso quotidiano sono, di solito, sostituiti rispettivamente con l’imperfetto di cortesia, il passato prossimo e il presente indicativo. Ciò è dovuto alla ricerca di una morfologia più controllata, affinché la lingua appaia solenne e aulica; ad esempio: “Tristano” 93, 2-3-4 “certo Urbano parlerebbe/così Alfiero scoprirebbe/la mia folle perdizione”. In “Eronte” 138,2 “che parlasse ebbi timore”. Nel “Conte Biancamano” 38,2-3 “la fanciulla prenderete/e con noi la condurrete”.
Non sempre i tempi verbali sono inseriti in modo coerente e concordato tra loro: ad esempio, ne “La nascita d’Italia” 127 “ordì il fatto poi fuggiva/liberando il re e Gardone/con premura e decisione/il mio brando lo colpiva”.
Oltre questo, spesso vi sono devianze nella flessione verbale: nel “Bovo d’Antona” 5,2 e 8,2 si incontrano rispettivamente “si giuranno” e “si perdenno”, con la forma impersonale tipica dell’area toscana e con un imprecisione nel coniugare i verbi, probabilmente per analogia con “venne” di 5,1; 195,4 “alfin che muora”. In “Rodomonte” 103,4 “appiattati” per “appiattiti”.
Alcuni tratti distintivi riguardano l’impiego del congiuntivo, fenomeno dovuto all’influenza del dialetto e dell’italiano popolare: in “Eronte”: 114,5 “meglio sia per me tacere”; 142,5 “gradirei che sia punito”. Ne “Conte Biancamano” 33,3 “che tu cedi e che tu rendi”. Nel “Bovo d’Antona” 37,1 “benché in me l’etade avanza”; 245,4 “e non sa dove si trovi”. Ne “Il presente e l’avvenire d’Italia” 140 “E’ ben poco quel che ho fatto/e se tu non eri giunto/certamente su quel punto/che il suo volto avrei disfatto”.

·Talvolta sono utilizzate le forme impersonali, tipiche della Toscana ma presenti anche nei Maggi emiliani: nel “Bovo d’Antona” 199,4 “Noi si fa il vostro volere”; 218,3 “lui si deve imprigionare”; 219,3 poi si tiene in nostra Corte”. In Rodomonte 313,2 Si vedrà seccarsi il mare”; 448,4 e
già l’anima si parte”. Ne “Il presente e l’avvenire d’Italia” 17,3-4 “se vien gente ritrovata/al castello si accompagna”, versi in cui si nota anche l’uso del verbo “venire” al posto dell’ausiliare “essere”, fenomeno tipico dell’italiano parlato. Anche nel “Maggio del Fermino” 18,3-4 “sciolta al vento la bandiera/degli dei che noi s’adora”.

· Nei Maggi moderni e anche in quelli contemporanei è frequente che manchino gli articoli, sempre per rendere lo stile più solenne oppure per motivi metrici: in “Tristano” 7,3-4 “in ciel apparve un dardo/che strada mia indicò”; 15,1 “e se poi funesto fato/colpir volle il prode Alfiero”; 44,3-4 “pastorello sentirai/storia mia sin dalla culla”; 141,4 “porrò fine al gran tenzone”.

· La stessa cosa accade per le preposizioni: in “Tristano” 9,1-2 “prode Alfiero al mio cospetto/promettesti ritornare”; 140,1 “pagherai da nostre mani”. Nel “Conte Biancamano” 126,4 “oggi dunque hai terminato/di servire ai miei nemici”. Nel “Bovo d’Antona” 23,2 “questo plico a tua Signora”, con la mancanza della preposizione articolata; al contrario, in 127,1 la preposizione semplice non servirebbe: “di Agostino andrò cercando”. In Rodomonte” 34,4 “farò strage a crude belve”. In “Paris e Vienna” 129,1-2-3 “andiam pure immantinente/senza punto più tardare/aveder del caro padre”.

· Mancata concordanza tra soggetto-verbo e tra singolare-plurale: in “Eronte” 64,4 “Potrò aver  nelle mie mano”. In “Agasta” 1,3-4 “a ciò a tutti noto sia/la mia storia, se intendete”; 19,4 “l’innocenza ha in fronte scritto”; 62, 2 “grandi armati” al posto di “grandi armate”. Nel “Bovo d’Antona”, nella didascalia della settantunesima quartina “entra nel bosco i mercanti”; 277,4 “mie mane”; 131,1 “io col conte pugna aveva”. In “Matilde di Canossa” 102,4 “già che ormai è giunto sera”; 226,1 “cosa mira gli occhi miei”.
 


Analisi lessicale e semantica
 
 

Come si è già accennato, il lessico dei Maggi antichi e moderni è enfatico e altisonante, svolto mediante l’utilizzo di termini aulici di derivazione letteraria, in particolare dell’epopea cavalleresca e del melodramma.
La tradizione cavalleresca ha agito soprattutto per gli appellativi rivolti ai paladini, trasmessi ai Maggi Drammatici grazie alla memoria degli autori e grazie alla circolazione dell’epica medievale tra gli strati popolari: i cavalieri sono “valorosi”, “prodi”, “gagliardi”, ma durante i combattimenti, i “duelli”, “giostre” o “tenzoni”, diventano “ribaldi”, “vili”, “iniqui”, “felli”, “rei”, “empi”.
Durante le battaglie o nel rivolgersi a un nemico, dalla metà del Novecento compaiono altresì altri termini, ora usuali nei Maggi contemporanei: “boria”, “livore”, “bastardo”, “sgherro”, “truce”, “losco”, “marrano” e “bieco”, di solito associato a “usurpatore” o “traditore”.
Altrettanto tipiche sono le metafore animalesche per degradare il nemico: frequenti sono “serpe”, “verme o “iena indegna”, “belva ardita” ecc.
Fissati dalla tradizione nel corso dei secoli, tant’è vero che si ritrovano nei Maggi contemporanei, i sostantivi sono solitamente accoppiati ad aggettivi colti, così da creare congiunzioni ricorrenti e arcaicizzanti: l’amico, il padre, la madre, l’innamorata, saranno sempre “diletti”; le donne apostrofate “giovinette”, “donzelle”, “consorti” o “fanciulle”, termini affiancati da aggettivi come “caste”, “pure”, “dilette”, oppure “superbe”, “ingrate” e “altere”, termini di solito associati a “fronte” o “ciglio”, se rifiutano l’amore di malvagi o malintenzionati. Inoltre, la sorte è sempre “cruda”, o “ingrata”, il destino “rio” e la morte “aspra”.
Ugualmente, sono frequenti le dittologie, anch’esse di memoria epica e aventi lo scopo di impreziosire il linguaggio: “iniquo e fello”, “ardito e fiero”, “odi e ascolta”, “guarda e mira”, “al supplizio ed alla morte”, “desia e brama”, “di sdegno e d’ira avvampo”, “afflitta e mesta”, “stolto e infame” ecc.
Ricorrenti sono altresì gli arcaismi, come “aita”, “tosto”, “spirto”, “pria”, “bramare”, “desiare”, “speme”, “alma” ecc.
Alla fissità del lessico dei Maggi si affiancano le ripetizioni, i poliptoti e le figure etimologiche, anche all’interno di una sola strofa: ad esempio, nel “Conte Biancamano” 69, 70, 71 “fido” ricorre tre volte, riferito rispettivamente a “cavaliere prode e fido” (69,3), “Chiaromonte fido amico” (70,1); “fido amato” (71,4). Lo stesso fenomeno accade in “Tristano”, dove vi è una ripetizione del verbo “osare” (90): “Folco ancora osi spiarmi?/Oso e un giorno mia sarai!/Col tuo osar non vincerai/osa pur ma non toccarmi!”. Oppure in “Carlo Magno Imperatore” 71,1 “odi e ascolta se ascoltarmi”.
In realtà, questa fissità, enfasi e arcaicità del lessico maggistico ricorre anche nelle altre tradizioni popolari qualora vi sia un combattimento tra due personaggi o qualora ci si rivolga a un nemico o una figura particolarmente spregevole; ad esempio, in queste occasioni, il linguaggio delle Zingaresche diventa più solenne e si avvicina a quello aulico del Maggio: “desiderare” è reso con “bramare”, “spada” con “acciaro” o “brando”, “desiderio” diventa “desio”, “parlare” “favellare”, “pericolo” “periglio”, “sire”, “fido” per “fedele”, “aggrada” per “fare piacere”, “troncare” per “uccidere” ecc., termini contrastanti con quelli quotidiani e colloquiali che connotano il servo sciocco, sempre presente nelle Zingaresche Drammatiche.
I personaggi colti nel momento del duello, dunque, sono raffigurati quasi come dei cavalieri, proprio come nel Maggio; di conseguenza, abbondano i “diletto”, “guerriero”, “gagliardo”, “meschino”, “rio”, “empio”, “indegno”, “vile”, “fello”. Si osservino nella seguente strofa della Zingaresca “Orvilla”, alla strofa settantanovesima, gli aggettivi che accompagnano il paladino: “Ed io saper vi faccio/che’è anch’egli un gran guerriero/e molto ardito e fiero/e valoroso”.
 
 


6.3.3    I Maggi contemporanei244
 
 

A differenza dei due Paragrafi precedenti, l’analisi grafico-fonetica non ha prodotto risultati interessanti, proprio per il diverso tipo di registro linguistico che interviene nei Maggi attuali, mentre risulta più articolata quella morfologica e sintattica. Ciò che sicuramente permane rispetto al passato, è l’assenza di una norma comune e universalmente valida non solo per tutti i testi contemporanei, ma anche tra quelli composti da uno stesso autore, o persino all’interno di uno stesso Maggio.
 

Analisi lessicale
 
 

La tradizione ha tramandato agli autori contemporanei la terminologia altisonante ed enfatica definita nel Paragrafo precedente; essa si esprime sia per via dell’utilizzo di termini quali “vile”, “ardire”, “iniquo”, “empio” ecc., sia mediante gli accoppiamenti di sostantivi e aggettivi in coppie fisse, sia per la dittologia sinonimica osservata in precedenza.
L’inserimento di questi termini aulici avviene in misura molto minore rispetto al passato e denota i momenti patetici e lirici; nei dialoghi tra paladini e nello svolgimento normale della trama, gli scrittori sostituiscono alle espressioni solenni termini quotidiani o perifrasi colloquiali e familiari, in passato impiegate solo dal Buffone.
Ciò favorisce una più immediata comprensione del canto da parte del pubblico e una maggiore vicinanza tra questi e gli attori; le costruzioni inusuali e solenni, di conseguenza, risultano ancora più rimarcate e gli spettatori li accolgono con esclamazioni, per via del loro sapore di arcaicità, e con maggiore attenzione, poiché solitamente sottolineano un passaggio chiave o drammatico.
Di seguito, sono riportati alcuni esempi di queste incursioni quotidiane o colloquiali, detti comuni o proverbi: “Il medaglione di Gradessa” 92,3-4 “hai ragione ma il tuo dire/resti qui o siam spacciati”; “Rolando da Coriano” 92,4 “or vedrai ti aggiusto io”; 164,3 “tu non hai capito niente”; 21,3-4 “la tua bocca mai non tace/sarà ben che io la cucia”; 239,4 “fatti sotto se hai coraggio”. Ne “Le vele dei crociati” 136,3 “ed ormai mi son stufato”; “La leggenda della Bema” 85,1 “senti servo non scocciare”; 143,1 “brutta aria tira in corte”. “L’Orlando Innamorato” 160,5 “tu ci sei cascato”, locuzione colloquiale nonostante si tratti si un’ottava. Ne “Gli emigranti” 47,2 è utilizzato “scapaccioni”, un termine d’uso familiare che, non a caso, è impiegato durante una lite tra due fratelli,
 
 
 
così come in 107,3 “ti do tante le gran botte”; 116,3 “ce n’è una che mi snerva”; 117,2 “certo abbasserà la cresta”; 208,3 “bruciare il tarlo” e 221,3 “io di qui levo le tende”. “Il mistero del Sultano” 55,3 “non venirmi adesso a offrire”. “La pietra del diavolo” 134,4 compare “cotta” per “innamoramento”. “I fratelli ammutinati” 70,3-4 “deh perdona alla mia offesa/ma tu fuor di mente sei”. “Roncisvalle” 56,3 “ma se Dio mi scampa e torno/sarai tu ricompensato”; in 172,2 è utilizzato il termine “botta” per indicare un forte colpo con la spada. In “Romolo e Remo” 77,2 è usata la locuzione “mandare via dai piedi”. In “Beniamino” 214,4 è impiegato il forestierismo “hobby” riferendosi all’avidità del mercante Zaccaria e alla sua ossessione per il denaro.
Muta anche il linguaggio che connota una battaglia: permangono i vari “arditi e fieri”, “vile” ecc., ma compaiono in misura minore rispetto al passato, poiché sostituiti da espressioni della lingua corrente; ad esempio, ne “La pietra del diavolo”, i duellanti recitano 252,2 “resa dei conti” e 248,2 “conto da saldare”, assenti nei Maggi antichi. In “Samarcanda” 190,3, sempre in uno scontro, “mandi i miei progetti in fumo”. In “Beniamino” 125,2 “non potrai passarla liscia”.
 

Analisi morfologica
 
 

· I tempi verbali ricalcano spesso l’uso contemporaneo: il futuro semplice è sostituito dal presente indicativo, il passato remoto dal passato prossimo e il condizionale dall’imperfetto, il tutto però senza l’esistenza di una regola generale, tale che frequenti appaiono i passaggi da un tempo a un altro all’interno dello stesso periodo. Alcuni esempi: in “Rolando da Corniano” 146,1-2-3 “io Romilde ho liberato/e cercammo di scappare/ma ci han visto allontanare”; 165,3-4 “or chiederan chi sia/che ha potuto torturalo”; “La leggenda della Bema” 189,3-4 “se era questa nostra sorte/noi vi avremmo di già uccisi”. Ne “La pietra del diavolo” 228,3-4 “sarà qui che si decide/se ne esci vivo o morto”. In “Samarcanda” 39,1 “questa idea vedrai la cambi”, con la dislocazione a sinistra. Ne “Il sentiero degli inganni” 38,3-4 “invierò chiaro un messaggio/o si piegano o li spezzo”.

· Assenti risultano altresì i suffissi poetici, comuni nei Maggi antichi, così anche i pronomi personali soggettoegli”, “ei”, “ella” ed “essi” sono rari e generalmente sostituiti dai pronomi personali complemento.

· Alcune congiunzioni subordinanti ormai rare nell’oralità, come “affinché”, “poiché” ecc., tendono a essere sostituite dal che polivalente o da perché”.

· Frequente è anche l’impiego pleonastico degli avverbi deittici di luogo, ricevendo sempre l’influsso della lingua familiare: ad esempio, ne “Rolando da Corniano” 5,1-2 “un sentiero assai scosceso/mi conduce su a Canossa”. “L’Orlando Innamorato” 178,3-4 “un leon fai comparire/giù dalle Montagne Nere”. Ne Gli emigranti 92,1 ce ne andremo giù in Versilia”; 175,2 dormirai su nel solaio”. Ne “La bastarda del Nilo” 152,1-2 “spero inver che il Dio inviolato/mi raccolga su nel cielo”; in “Romolo e Remo” 157,3 “questo qua ti saprà dire245.
Come avviene nella lingua d’uso, il vi locativo è sostituito col ci: ne “Gli emigranti”16,1-2 “aspra terra di montagna/dove non ci cresce niente”; 18,1-2-3, versi in cui la sostituzione causa una ripetizione col ci pronome “guarda quanto duro è il suolo/non ci crescon le patate!/Neanche lor ci son grate”.
 

Analisi sintattica
 
 

· Le dislocazioni, nate come costruzioni atte a evidenziare un elemento della frase piuttosto che un altro, invertendo dunque l’ordine Soggetto-Verbo-Complemento Oggetto, sono oggi comuni nell’italiano parlato. La dislocazione a sinistra è quella più ricorrente e può incidere sull’oggetto diretto, il fenomeno più tipico, sui complementi di fine, di tempo, sul locativo, sullo strumentale; più rara è invece la dislocazione a destra e ricade solitamente sull’oggetto diretto.
Esse, in realtà, erano abbastanza comuni anche nei Maggi moderni, poi divenuti ancor più frequenti in quelli attuali246: “Romolo e Remo” 167,1-2 “le tue imprese o scellerato/a nessun le andrai a narrare”. Ne “Il medaglione di Gradessa” 187,4 “il mio acciar lo trovi pronto”. In “Antinea” 75,3- 4 “spero che lo punirete/come merita il bugiardo”. In “Ben Hur” 99,1 “io lo vidi quel sicario”; 186,1-2 “non temer la situazione/la teniamo in mano salda”. Ne “La bastarda del Nilo” 240,1-2 ottava “il padre me lo disse che il potere/diritti non concede all’arroganza”. Ne “I figli di Tanus” 28,3-4 “scusa cara faccio ammenda/lo comprendo il tuo diniego”.

· Il C’è presentativo permette di mettere in evidenza un elemento particolare della frase; la sua presenza è comunque rara nei Maggi moderni quanto in quelli contemporanei. Sporadici risultano quindi gli esempi, come “Gli emigranti” 116,2 “c’è una donna da far serva”.

· Anacoluto o nominativus pendens: “Bovo d’Antona” 119,1-2 “la mia figlia a chi è pagano/di sposarla non è degno”, con anche la dislocazione a sinistra dell’oggetto diretto; 322,3-4 “tu cadrai al suolo estinto/senza averti compassione”.

· Come nell’ottonario sopra riportato, i Maggi attuali, oltre che quelli moderni, propongono spesso la sostituzione dell’ausiliare essere con venire: nel “il Bovo d’Antona” 178,3-4 “beverarlo è mio pensiero/perché venga addormentato”. In “Rodomonte” 270,1 “me lo venne a imprigionare”, con anche la dislocazione a sinistra del complemento oggetto. Ne Il presente e l’avvenire d’Italia 44,4 “tale annunzio mi vien grato”. Anche in Paris e Vienna 182,2 che mia sposa un di venite”, dove si nota l’assenza dell’accento sul dì e l’uso dell’indicativo in luogo del congiuntivo. Ne “Il medaglione di Gradessa” 148,4 “con tua spada venga ucciso”. Un altro fenomeno è la sostituzione del verbo “dovere” con “avere”: “Il mistero del Sultano” 74,2 “con tuo padre ho da parlare”.

· Uso del che polivalente, evidente anche nei copioni precedenti: in “Carlo Magno Imperatore6,1- 2 “lei né giura e dica ancora/che costei non vuol marito”. In Maggio” 10,3-4 “che lo dica immantinente/ch’andiam fuori a tal effetto”; 27,1 e che grazia ti par questa”. In Amore e sangue” 302,3-4 “sappi ben che non si bara/quando si è dietro a morire”, con l’utilizzo del verbo “barare” e di una locuzione comune nella lingua familiare; “Rolando da Coriano” 137,1 “forse che mi son sbagliato”.
 

244 Sono stati analizzati i seguenti Maggi, prevalentemente composti dagli anni Novanta fino a oggi: “I fratelli ammutinati”; “Amore e sangue”; “La mano destra”; “Romolo e Remo”; “Beniamino”; “Ben Hur”; “Il mistero del Sultano”; “Il drappo reale”; “Intrecci d’amore”; “La rivolta degli oppressi”; “Il medaglione di Gradessa”; “Rolando da Corniano”; “Antinea”; “La leggenda della Bema”; “I cavalieri erranti”; “I tre fratelli ed altre storie: la regina del silenzio, Anna Malaspina”; “Le vele dei crociati”; “L’Orlando Innamorato”; “Gli emigranti”, “Arminea e Liseno”; “Il mistero del taigeto”; “Samarcanda”; “La bastarda del Nilo”; “I figli di Tanus”; “Il sentiero degli inganni”; “La pietra del diavolo”. Attualmente non si hanno notizie su eventuali Maggi composti negli ultimi decenni in area toscana e, di conseguenza, sono stati considerati solo i copioni moderni, i quali, tuttavia, non vanno oltre gli anni Ottanta del Novecento.
245 A proposito dell’incursione della lingua colloquiale e degli avverbi deittici di luogo, ciò avviene anche nei Maggi moderni, come si sosteneva all’inizio del Paragrafo; ad esempio, nel “Bovo d’Antona” 253,1 “questa qui è la tua Chiarenza”.
246 Alcuni esempi di dislocazioni nei testi moderni sono riportati in nota; “Maggio di Robin Hood” 160,3-4 “ecco ascolta la lezione/d’un figliol che l’è pentito”; 211,1-2 “l’appetito che il divino/mi donò l’è sempre immenso”; 238,1 “la regina l’è partita”. In “Tristano” 16,1-2 “l’amor tuo puro e sofferto/l’apprezzai e oggi lo bramo”; 33,1-2-3 “pur nel dramma fortunato/siei perché il bambinello/l’ha trovato qua un fratello”; 83,4 “lo lasciai il mio bambino”, dove si nota anche l’uso del passato remoto che, nell’italiano parlato soprattutto dell’Italia settentrionale, sarebbe sostituito da un passato prossimo; 150, 1-2 “questo abbraccio prolungare/lo vorrei, ma debbo darvi aspre nuove rivelarvi”. Questo Maggio propone anche un esempio di dislocazione a destra: 43,1-2 “la smarrii una pecorella/l’altro giorno in questo lato”. In “Eronte” 2,4 “ma un suo fido in cui riposa la fiducia, gliela inganna”; una dislocazione del locativo 3,1 “risparmiata, alla foresta un bambino dà alla luce”; del complemento di fine 41,4 “per la guerra, via, partiamo”. Nel “Conte Biancamano” 96,1-2 “un guerrier che affretta il passo/io lo vedo in lontananza”; un esempio di dislocazione a destra: 6, 2-3 “il tuo labbro me lo dice/io vivrò lieto e felice”. Nel “Bovo d’Antona” 54,3 “di svelarla altrui te’l vieto”; 145,1-2 “ha l’insegna di un leone/che lo porta lui sull’elmo”, con anche la presenza del che polivalente e del pronome personale complemento come soggetto. 71,3-4 “sua Drusiana in suo favore/lui a Bovo la vuol dare”; dislocazione a destra in 81,1- 2 “dite in grazie o miei mercanti/lo vendete il servitore”; 85,1-2-3 “vo’ bandire un torneamento/sol per maritar Drusiana/chi la vince sua la mano”; 129,2-3 “lo ricusa il padre mio/quel pagano audace e rio”; 132,3-4 “lo potesti liberare/il meschino egli è perduto”; 324,4 “tesserle le trame”. In “Rodomonte” 160,3-4 “questo colpo se ti eletta/la mia man te lo dispensa”; 161,1-2-3 “ogni colpo che sull’armi/ricevendo va il mio amore/lo ricevo anch’io nel cuore”; 442,3- 4 “mia sorella Bramante/la vorrei con te riunire”. Nella “Pia de’ Tolomei” 79,1-2 “siamo giunti guerra e morte/la cercaste e la vedrete”, verso in cui si nota anche la mancanza della punteggiatura. In “Paris e Vienna” 40,1-2 “lo farem con gloria e onore/tutto quanto ai ordinato”, in cui si rileva anche la mancanza della h, fenomeno tipico di questo copione; ancora in 31,1 “io lo immagino il segreto”. Ne “Il presente e l’avvenire d’Italia” 4: “sol la legge di natura/che nessun potrà violarla/Dio la fece e trasportarla/non può umana creatura”, con anche l’utilizzo del che polivalente; 157,1-2 “e   tu Amato questa gente/li dovrai accompagnare” con anche la non concordanza del pronome complemento. Ne “La pagana senza cuore” 91,1-2 “altra volta la mia mano/o furfante la provasti”; 147,1-2 “io la devo allontanare/quella donne del mistero”, con un esempio di dislocazione a destra. In “Carlo Magno”: 1,3-4 bis “perché il trono alla sua morte/sia un suo erede a possederlo”; 178,3-4 “i miei colpi non li spreco/se non sei guerrier famoso”.


6.4   Analisi diatopica247
 
 

Dal punto di vista diatopico, l’influsso dei fenomeni tipici del toscano è maggiore rispetto a quello della varietà emiliana; come si è affermato nei Capitoli precedenti, all’incirca fino alla metà dell’Ottocento, gli autori emiliani non composero Maggi, bensì acquistavano copie e fogli volanti in Toscana, per poi modificarli. Così facendo, essi accolsero alcuni tratti linguistici toscani, trasmettendoli così agli scrittori di fine secolo o del Novecento.
 
 
 
 
Quindi, se si esaminano i due testi antichi “Maggio” e “Maggio sopra Carlo Magno imperatore”, la possibilità di apprezzarne differenze diatopiche appare incerta: pur essendo stati entrambi recuperati in territorio emiliano, non si conosce la loro reale zona di origine. Sicuramente il linguaggio del primo è più controllato e si può estrapolare una coerenza di fondo che i Maggi successivi non hanno quasi mai ripercorso: il lessico, la grafia, la morfologia e la sintassi della lingua rispecchiano il personaggio che ne fa uso, come si evidenzierà nel Paragrafo successivo.
Si può, ma sempre con cautela, rilevare in “Maggio” una certa polarizzazione verso il toscano; tuttavia, i tratti che lo lasciano supporre sono sporadici e riconducibili all’utilizzo della forma impersonale e alla monottongazione: 5,3 “ma per oggi che s’a fare”, con la mancanza dell’h iniziale, fenomeno ripetuto anche in 47,1-2 “in che parte s’a d’andare/noi vogliam prima sapere”, mentre in 51,1 “alto là che s’ha da fare”; 19,2 “com’appunto si conviene”; 45,1 “chi è Donna si può dire”, verso in cui si nota l’uso della maiuscola e l’accento, che tre versi dopo è invece assente: “non puo a men di non fallire”, in linea con la sostanziale incoerenza grammaticale comune ai Maggi antichi e moderni. Per la monottongazione si veda: 27,3-4 “quel che cerchi io ben m’avveggio/ti voi far rom per la testa”; 29,1 e 34,1 “vol” invece di “vuol”.
Maggio sopra Carlo Magno imperatore”, invece, presenta una grammatica più libera e vi sono occasionali penetrazioni del dialetto emiliano rispetto agli arcaismi e ai termini colti presenti; alcuni esempi sono 22,4, “aritrovo”; 53,2 “che nusun abi lardire”, in cui si nota anche la scempia e l’apostrofo mancante; spesso ricorre “tin prometo” per “ti prometto” (55,3; 7,4 “le vien bel chi o timprometo”; 66,4 “che non vada in riscompiglio”; 77,4 “se lan fata nei calzoni”, quartina pronunciata dal Buffone e non da un paladino. Un altro evidente influsso dialettale è nella quartina 33, la quale permette anche di sottolineare la congiunzione tra i termini arcaicizzanti cari alla tradizione maggistica e il dialetto: “Bradamante alma preciata/qui Rinado a te mi manda/mi molto am si aracomanda/che a te dia questa imbasciata”.
Esaminando, invece, i Maggi moderni, le differenze diatopiche sono pressoché inesistenti; il linguaggio maggistico di metà Ottocento risulta già ben consolidato in una ricorrenza di termini e dittologie fisse, così anche i fenomeni riconducibili all’italiano popolare non divergono tra l’area toscana e quella emiliana. Qualora in quest’ultimi vi siano alcuni tratti appartenenti alla varietà regionale toscana, è dovuto al rimaneggiamento di testi garfagnini da parte degli autori risiedenti nell’altro versante dell’Appennino.
L’inserimento di particolarità dialettali emiliane potrebbe essere studiato attraverso gli interventi del Buffone, i quali sono maggiormente polarizzati verso l’italiano popolare o il dialetto; tuttavia, essi sono sporadici, visto che questo personaggio non recitava basandosi sul copione scritto, bensì improvvisando.
Se dall’Ottocento ci si sposta nel Novecento, la presenza di toscanismi nei copioni emiliani è minima, soprattutto nei Maggi contemporanei; alcuni casi sono: l’impiego della forma impersonale, la sostituzione del possessivo “loro” con “suo”, la monottongazione, caso comunque raro, e l’uso del gli come soggetto.
 

247 Come si è già affermato in precedenza, per quanto riguarda l’area toscana non si hanno notizie in merito a Maggi composti durante gli ultimi decenni, tale che l’analisi effettuata ha potuto solo prendere in considerazione testi novecenteschi ed evidenziarne le differenze rispetto a quelli emiliani.


6.5   Analisi diafasica
 
 

Si è affermato più volte che la lingua dei Maggi muta a seconda del contesto, del personaggio e della forma metrica impiegata.
Il copione in cui il fenomeno diafasico è forse più rimarcato e mantenuto costante per l’intero svolgimento è “Maggio”: attraverso il linguaggio, infatti, l’autore marca le differenze tra i sovrani, gli eroi, i Turchi e il Buffone, tra il normale svolgimento e i momenti chiave o patetici delle vicende. Il prologo recitato dal Paggio è il più controllato, poiché funge da presentazione dell’intera rappresentazione e per via del contenuto, cioè il benvenuto propiziatorio nei confronti della Primavera; la maggiore attenzione rivolta alle quartine di inizio permane nei Maggi moderni e contemporanei: abbondano i termini colti e letterari, la sintassi è più curata e ricca di figure retoriche, così anche le particolarità grafiche o morfologiche dell’italiano popolare, se sussistono, sono contenute.
In “Maggio” i Cristiani si rivolgono al loro comandante in modo formale e rispettoso; i Turchi, invece, come si è osservato anche in 6.3.1, si distinguono per l’utilizzo di un linguaggio più basso, tale da connotarli negativamente anche dal punto di vista comportamentale, intento che rimane immutato lungo l’intera durata del testo. Tale caratteristica non sarà ripresentata mai più in modo così palese nella composizione degli altri Maggi successivi.
La lingua del Buffone è simile a quella ricca di imprecisioni di cui si fanno portatori i Turchi. Essa non è né solenne né controllata, ma le inesattezze non sono inserite come strumento denigratorio, bensì per esprimere l’essenza del personaggio. Il Buffone, infatti, non è un eroe e rappresenta, invece, i normali sentimenti comuni, ossia la paura, la fame, la mancanza di coraggio, assenti nell’animo dei paladini. All’interno di vicende idealizzate ed enfatizzate, egli introduce un contesto quotidiano, quasi più vicino agli spettatori più che agli altri attori. Di conseguenza, il suo linguaggio è proporzionato alla sua funzione e abbonda di espressioni familiari e colloquiali, oltre che di fenomeni spiccatamente appartenenti all’italiano popolare, com’è stato osservato in 6.3.1.
Alcuni esempi di interventi del Buffone in “Maggio”: 72,3 “panza”; 78,4 “mozzo, e capponato”; 12,1- 2 capitano al servo: “ma l’hò detto che l’amore/vuol cavarti di cervello”; 13,4: “per un mese sto malato”; 14,1 “anzi adesso ci hai d’andare”.
Interessante notare che l’intervento di questo registro più umile non sussiste solo quando recita il Buffone, ma anche quando un paladino gli si rivolge, dialogando mediante una lingua ben più bassa rispetto a quella che l’eroe avrebbe usato con un suo pari: 15,2 capitano al servo: “mel vuoi dir, ti voglio fare”; 17, Cristiani al servo: “chai dipinto un facciata/che più bella qui fra noi/non ven’è; ma chi sa poi/che non sia robba affumata”. Alla quartina 27,3-4 il registro linguistico con cui le donne si rivolgono al servo contrasta col loro intervento garbato e poetico di poche strofe prima: “quel che cerchi io ben m’avveggio/ti voi far rom per la testa”, con la scissione imprecisa del verbo “rompere” e la monottongazione tipica della varietà regionale toscana, fenomeno che compare anche in 29,1 e in 34,1 con “vol” invece di “vuol”, sempre nelle parole del Buffone248.
Per quanto concerne i Maggi ottocenteschi e novecenteschi una rimarcazione diafasica così coerente non sussiste; tuttavia, è possibile osservare come il linguaggio tenda a innalzarsi e colorarsi delle locuzioni care alla tradizioni cavalleresca durante i duelli, con “possanza”, “ardire”, “brando”, “franco”, “empio”, “vile” ecc., oppure durante i momenti lirici, quindi durante le ottave o i sonetti, con “diletto”, “consorte”, “alma”, “duolo”, “strazio ecc.
Un copione in cui è evidente la variazione diafasica è “Il presente e l’avvenire d’Italia”: gli arcaismi e le costruzioni letterarie e auliche della tradizione maggistica sono affiancati da locuzioni della lingua d’uso, quando il contesto è quotidiano. Il più emblematico è la rappresentazione di madri e bambini: la sintassi è più libera, pur seguendo il vincolo della metrica, così è impiegato un lessico quotidiano, probabilmente per inserire il popolo all’interno di una cornice familiare e vicina agli spettatori, oltre che per conferire loro un’immagine più innocente, visto il fine politico del Maggio in questione. In questi casi, dal punto di vista morfologico, i fenomeni dell’italiano popolare sono numerosi: ad esempio, la sostituzione del passato remoto, del futuro semplice e del condizionale, tempi verbali presenti nei dialoghi tra i personaggi eroici e qui sostituiti da passato prossimo, presente indicativo e imperfetto; in 20,5 è impiegato “quando tornate” in luogo del futuro.
Allo stesso modo, il lessico s’impoverisce dei termini aulici, per attingere a stilemi familiari o dialettali: 21,1 “tira il vento”; 28,1-2-3 i bambini dicono “vedi vedi quanti stecchi/che la neve gli ha troncati/ed il vento gli ha asciugati”, impiegando “stecchi” per “rami”, “troncare” in luogo di “spezzare” e “gli” al posto di “li”.
Rispetto alla presenza di fenomeni linguistici riconducibili all’italiano popolare, pur presenti nella maggior parte dei copioni anche durante il normale svolgimento della trama e dei dialoghi tra paladini, sono le parti scritte destinate al Buffone a polarizzarsi molto di più verso un italiano più basso e familiare.
Si vedano alcuni esempi, naturalmente tenendo conto della rarità con cui si possono reperire le parti scritte destinate alla recitazione del Buffone, visto che questi si basava sull’improvvisazione. Nel “Bovo d’Antona” alla strofa diciassettesima: “Voglio stare un po’ alla scolta/cosa dice la Brandoria/o che perde la memoria/o che quella è pazza o stolta”. Così in “Paris e Vienna” 329: “An mangiato i mammalucchi/del buon vin sono alloppiati/sono tutti addormentati/e ubbriachi come ciuchi”. Nella “Casta Susanna” 80,4 il Buffone esclama “ecco il fine dei birboni”, con la non concordanza tra i due sostantivi e l’utilizzo di un termine che un personaggio eroico non avrebbe, invece, utilizzato. In “Rodomonte” il Buffone recita pochissime quartine, avendo solo il compito di allontanare i cadaveri dalla scena e di prendersi gioco dei cavalieri; alla quartina 402, deride Ruggero che si trova nella sfavorevole posizione di doversi battere contro Rinaldo, fratello dell’amata Bradamante, combattimento che deciderà le sorti dell’intero suo esercito: “Per amor di Bradamante/tu mi sembri inscemunito/ma Rinaldo forte e ardito/ti dà busse chi sa quante”. In questa stanza il Buffone unisce, dunque, una tradizionale dittologia del Maggio, “forte e ardito”, a termini popolari mai comparsi, cioè “inscemunito” e “busse”.
Si è detto nel Capitolo 4, Paragrafo 2.3, che la funzione del Buffone nei Maggi composti dal Secondo Dopoguerra, è stata ridimensionata e attribuita a personaggi che ne riprendono i tratti comici e anche linguistici; nel “Macbeth” di Romolo Fioroni, le streghe si esprimono mediante una sintassi controllata per rivolgersi agli eroi, che però si abbassa notevolmente qualora dialoghino tra loro: in 155/bis esclamano: “gli abbiam proprio combinato/al barone un gran casino”, dove, oltre alla dislocazione a sinistra, si nota l’utilizzo del termine colloquiale “casino”, inusuale nelle parole dei paladini e soprattutto nei copioni di Romolo Fioroni, connotati da una lingua sostenuta e attenta ai fenomeni grammaticali.
Nel Maggi contemporanei, la lingua appare, da un lato, arcaicizzante e rispondente alla lessicale; ciò è soprattutto evidente nei passaggi lirici e patetici, quindi nelle ottave e nelle ariette, sicuramente ben più frequenti rispetto ai copioni passati. Nella morfologia e nella sintassi, invece, il linguaggio è meno controllato e i fenomeni dell’italiano neostandard non sono solo reperibili durante lo svolgimento comune del Maggio, bensì penetrano anche nei contesti drammatici. Ciò vuol dire che la varietà colloquiale agisce anche nelle ottave e nelle ariette, nonostante una vaga volontà di esclusione e di innalzamento stilistico da parte degli autori, la quale si traduce però solo nell’utilizzo di espressioni pleonastiche e arcaicizzanti.
Gli unici esempi in cui il registro quotidiano costituisce un palese e volontario tentativo di connotare un personaggio o una situazione è nelle parti recitate dalle figure costruite sulla falsariga del Buffone.
Va però considerato che la loro presenza all’interno del Maggio è poco frequente e varia di compagnia in compagnia, come si è osservato nel Capitolo 4.
Facendo sempre riferimento alla Società del Maggio Costabonese, i tre malandrini sono connotati da un registro linguistico più basso: nel “Re David” di Don Alberi, essi duellano contro un paladino dichiarando: 188,3 “io di te farò frittella”, stilema assente nella tradizione maggistica.
Ne “La rivolta degli oppressi” di Daniele Monti, i briganti Frina, Podaia e Msora vorrebbero rapire Arianna, una giovane donna contadina, la quale riesce però a metterli in fuga avvalendosi delle sue forze, senza l’intervento di alcun cavaliere; è interessante notare la lingua che impiegano i tre, molto differente rispetto quella colta e controllata del Maggio in questione: ai termini della tradizione maggistica, come “vile”, “tosto”, “brando”, “pugnare” ecc., sono affiancate parole familiari o espressioni moderne o colloquiali: in 89,2: “vile insetto rinsecchito”; 93,1.2 “ferma tosto, posa il brando…/Ma chi sei, un travestito?”; 94,4 “me ne vò, m’è preso un crampo!”; 96,1 “capo mena”, riferendosi alla coraggiosa Arianna; 97,1-2 “senti bella ragioniamo/guarda qua! L’arme io cedo”, fino ad esclamare, prima di fuggire “e vabè, che mondo infame/pur le donne san pugnare!/Non san fare da mangiare/ma ben sanno usar le lame”.
Ancora ne “Il medaglione di Gradessa”, sempre composto da Daniele Monti, gli stessi malandrini intervengono per rapinare il re Giovanni, afflitto e deluso di sé per aver tradito i propri figli; i tre, mossi da compassione, se ne vanno senza derubarlo, anzi gli donano tre monete e del formaggio. Questo passo contiene anche un esempio di intratestualità, poiché Frina, ricordandosi degli avvenimenti ne “La rivolta degli oppressi”, afferma, alla quartina 107: “Pria una dama con il brando ci ridusse a malpartito/ora il vecchio benvestito/che morte va sognando!”. Nonostante in questa strofa il malandrino utilizzi due termini tipici arcaicizzanti dei copioni maggistici, “pria” e “brando”, la lingua da lui impiegata nelle altre quartine appartiene sempre a un varietà umile, talvolta ricca anche di espressioni dialettali: 98 “tu ribaldo quant’è il/soldo/che detiene nella buggia?/neanche l’ombra della ruggia/m’è rimasta”, con il tipico “ribaldo”, ereditato dalla tradizione cavalleresca, e le espressioni dialettali “buggia”, il taschino in cui è riposto il portafoglio, e “ruggia”; 99,4 “son ridotto ad un rottame”; 102,3-4 “eh no frena… Deh! Mi lassa…/questo qua è pien di guai!”; 105,2 “va che il mondo è proprio strano”.

248 Questa differenza tra la lingua solenne dei paladini e quella a tratti quotidiana del Buffone è presente anche nelle altre rappresentazioni popolari: un esempio è il Contrasto “La donna misteriosa” [Di Vecchio 1982], dove le quartine destinate ad Arlecchino riportano sempre la z al posto della s e compaiono espressioni più polarizzate verso lo stile colloquiale, fenomeno assenti nelle strofe recitate dagli altri personaggi; un esempio eloquente: “corpo d’un azzazino!/Dize se lo conosco…/Li ho veduti nel bosco/amorezzare.”

6.1   Analisi diastratica
Così come nei Maggi antichi e ottocenteschi non è possibile riconoscere con facilità le eventuali variazioni di tipo diatopico, visto il prevalere della lingua aulica e la difficoltà nello stabilire la zona di composizione del testo, è ugualmente difficile valutare l’influenza della ceto sociale dell’autore. Infatti, la maggior parte dei documenti antichi sono anonimi e diffusi in plurime copie e varianti di cui, in genere, non si conoscono né l’apografo né lo scrittore, tantomeno quindi la posizione sociale di quest’ultimo.
I Maggi composti dalla fine dell’Ottocento, in particolare quelli di area emiliana, riportano quasi sempre il nome dell’autore, che, lo si ricorda, può alludere sia al compositore vero e proprio sia al copista che ha rimaneggiato il testo base. Ciò rende possibile identificare le tracce di variazione diastratica: gli scrittori che poterono accedere a un livello di istruzione più alto rispetto alla media appenninica, arricchirono i copioni con un lessico più ampio, meno ripetitivo e, pur rimanendo all’interno del consueto linguaggio maggistico, vi inserirono nuovi termini poi tramandati agli autori successivi.
Ad esempio, i Maggi di Stefano Fioroni presentano una lingua piuttosto controllata: egli, difatti, poté frequentare, anche se per pochi anni, la scuola seminarile di Marola (Carpineti, RE). Di conseguenza, il linguaggio dei suoi copioni appare povero di particolarità riconducibili all’italiano popolare e il lessico, pur rientrando nella cornice della tradizione, è rinnovato e ricco di espressioni poi riprese negli anni a venire. L’inserimento del registro popolare e familiare è, allo stesso modo, volontario e coerente lungo l’intera produzione: serve, difatti, a connotare un personaggio o una situazione particolare rispetto alle restanti vicende drammatiche, come gli interventi dei malandrini analizzati nel Paragrafo precedente.
Il medesimo discorso può essere fatto per un altro autore i cui Maggi furono allestiti dalla Società del Maggio Costabonese, cioè Don Francesco Alberi, parroco di Cerrè Marabino (Toano, RE).
Accanto ai piccolo-medio borghesi, ai preti o ai Dottori, personalità che produssero copioni connotati da un registro letterario e controllato, vi era chi non poté accedere a un’elevata istruzione; i testi redatti da contadini, pastori e artigiani, presentano un numero maggiore di fenomeni appartenenti all’italiano popolare, tanto nei contesti lirici quanto in quelli comuni. Inoltre, la lingua solenne e colta è maneggiata in modo più statico: frequenti sono le ripetizioni di termini uguali anche all’interno delle stesse strofe, soprattutto se si tratta di espressioni come “indegno”, “iniquo”, “vile”, “diletto”, “alma”, “tosto” ecc.
Infine, non sussiste nessun tipo di variazione diastratica qualora il copione sia composto da una donna: Luigia Correggi e Miriam Aravecchia sono le uniche autrici di Maggi e la lingua da esse utilizzata è uguale a quella degli uomini loro coetanei.

                                                                                                                                               Valentina Bonicelli


TESI DI LAUREA  E MONDO POPOLARE
1. Rosanna Del Campo, I cantastorie della provincia di Catania, tesi di  laurea discussa con il    Prof. Luigi M. Lombardi Satriani, Università di Messina, Facoltà di Magistero,  A.A. 1968-'69.
2. Francesca Traverso, I cantastorie italiani,  tesi di laurea discussa con il Prof. Pietro Scotti, Università di Genova, Facoltà di Lettere, A.A. 1968-'69.
3. Cristina Melazzi, Il canto di filanda, tesi di laurea discussa con il Ch.mo Prof. Guglielmo Guariglia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Etnologia, A.A. 1971-'72.
4. Loretta Zahariev, laureanda in Storia del teatro, Facoltà di Lettere, titolo provvisorio "I  Maggi dell'Appennino emiliano: la compagnia di Costabona"relatore Ch.mo Prof.  Giuseppe Flores d'Arcais, A.A. 1974-75
5. Antonella Ansani, La ballata anglo-scozzese di tradizione orale, tesi di laurea discussa con la Prof.ssa Valentina Poggi Ghigi, Università di Bologna, Facoltà di Lettere, Lingue e Letterature Straniere, A.A. 1975-'76.
6. Manuela Gualerzi, La musica popolare e popolaresca su dischi commerciali 78 rpm in Italia e negli Stati Uniti (1900-1959),  tesi di laurea discussa con il Prof. Roberto Leydi, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in D.A.M.S., A.A. 1977-'78.
7. Laura Artioli, Il Maggio come genere drammatico popolare, tesi di laurea discussa con il Chiar.mo Prof. Emilio Mattioli, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Filosofia, A.A.  1979-'80
8. Giorgio Ferrari,  Una espressione di teatro popolare: "Il Maggio"dell'Appennino emiliano, Libera Università degli Studi di Trento, Facoltà di Sociologia, relatore Prof.Luigi Del Grosso Destreri, A.A. 1979-1980
9. Laura Amati, La tradizione dei cantastorie in Romagna, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Discipline delle arti della musica e dello spettacolo (DAMS), relatore Chiar.mo Prof Roberto Leydi, A.A. 1979-1980
10. Luigi Giovanni Spezia, Il Maggio dell'Appennino toscano, Università degli  Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, relatore Chiar.mo Prof. Roberto Tessari, A.A. 1980-81
11. Attilio Mattioli, I Maggi nel Reggiano. Folklore e dinamica culturale, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, Indirizzo Sociologico, Tesi di Laurea in Antropologia Culturale, relatore Prof. Domenico Volpini, A.A. 1984-85     
12. Attilio Mattioli, Interviste e altro materiale etnografico, Università degli  Studi di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, Indirizzo Sociologico, Tesi di Laurea in Antropologia Culturale, relatore Prof. Domenico Volpini, A.A. 1984-85
13. Gilda D'Elia, La festa della saracca di Oliveto. Evoluzione di un rito carnevalesco in una frazione della prima collina bolognese, Tomo I, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Musica e Spettacolo, Corso di Laurea in D.A.M.S.,
Cattedra di Drammaturgia, relatore Chiar.mo Prof. Giuliano Scabia, Sessione Estiva A.A. 1987-88
14. Simone Petricci, Il cantastorie contemporaneo, ultimo erede del giullare-cantore ambulante medievale, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, relatore Chiar.ma Prof.ssa Lia Lapini, A.A. 1992-1993
15. Roberta Parravicini, Tra tradizione e innovazione: il caso del cantastorie contemporaneo in Italia settentrionale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Lurea in Lettere Moderne, relatore Chiar.mo Prof. Sisto Dalla Palma, A.A. 1994-1995
16. Ornella Uccello, Le danze delle spade in Europa, Istituto Universitario Suor Orsola Benicasa di Napoli, Tesi di specializzazione in Storia delleTradizioni popolari, Master Europeo "Arte & Culture", relatore Prof. Marino Niola, correlatore Jane Charlton, 2003
17. Floria Scialino, La figura del cantastorie siciliano novecentesco, un poeta vagabondo, tra tradizione folcloristica e impegno civile, Université de Nantes, sous la direction de M. Paul Colombani, le 5 juillet 2002
18. Cristina Simonelli, Canti del maggio a confronto: una tradizione per la didattica, Università   
degli Studi di Firenze, Facoltà di Scienza della Formazione, Corso di Laurea in Scienze
della Formazione Primaria, relatore Prof. Marcello de Angelis, A.A. 2006-2007
19. Sonia Donatini, Il “Cantarmaggio” nella tradizione appenninica, Università degli Studi di    
Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Tesi di Laurea in Storia del Pensiero Scientifico,
 relatore Chiar.mo Prof. Paolo Aldo Rossi, controrelatore Chiar.mo Prof. Roberto Trovato,
A.A. 2000-2001
20. Daniela Grassi, Teatro di piazza e cantastorie in Piemonte, Università di Torino, Facoltà di  
Lettere e Filosofia, Tesi di Laurea in Storia del Teatro, relatore Prof. Gian Renzo Morteo,
A.A. 1985-1986
21. Giuliano Biolchini, Canti e balli popolari del Frignano. Appennino modenese, Università  
degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Tesi di Laurea: Discipline delle Arti,  
Musica e Spettacolo, materia di tesi: Etnomusicologia, relatore Chiar.mo Prof.  R. Leydi,   
controrelatore Chiar.mo Prof. L. Azzariti, A.A., sessione autunnale 1988-1989
22. Viola Bertoni, Cantastorie oggi. Una riflessione sul senso del cantastorie nel nuovo
millennio.Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Corso di Laurea Triennale in Lettere Moderne, Tesi di Laurea in Letteratura
 Comparata, relatore Prof.Bertoni Alberto, correlatore Colangelo Stefano, Sessione I A.A.
 2009-2010
24. Roberto Leonetti, Il motivo dell’allattamento maschile. Vitalità, contesti, livelli di   
significazione, funzioni mitiche e valori sociale”, tesi di laurea in Storia delle Tradizioni  
Popolari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Trieste, Relatore Gian   
 Paolo Gri, A.A. 1981-1982
25. Valentina Turci, Burattini e burattinai nell'Emilia Romagna degli anni del fascismo: teatro dei burattini fra tradizione e dissenso, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Discipline dell'Arte, della Musica e dello Spettacolo, Tesi di Laurea in Storia del Teatro Moderno e Contemporaneo, relatore Chiar.mo Prof. Giuseppe Liotta, correlatore Dott. Matteo Tarasco,  Sessione II, A.A. 2004-2005
26. Silvia Manfredini, Il teatro “necessario”. La “Vécia” in area emiliana come modello di indagine, Tesi di Laurea in Lettere Moderne, Università degli Sudi di Ferrara,relatore Prof. Daniele Seragnoli, A.A. 2006-2007
27. Gennaro Fabrizio A. Labella, Il teatro di folklore in Calabria, Tesi di Laurea, Facoltà di Sociologia, Università degli Studi di Urbino, relatore Chiar,mo Prof. Emilio Pozzi, A.A. 1996-1997
28. Eugenia Marzi, La parola poetica come strumento educativo: analisi etnofilologica di una raccolta di rime per l’infanzia (Appennino Reggiano), Tesi di Laurea, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Scuola di Lettere e Beni Culturali, Corso di laurea in Italianistica, Culture Librarie Europee e Scienze Linguistiche, Relatore Francesco Benozzo, Correlatore Marco Veglia, Sessione seconda, A.A. 2016-2017
29. Valentina Bonicelli, Il Maggio Drammatico in area reggiana e modenese: un’analisi demologica e linguistica, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Scuola di Lettere e Beni Culturali, Corso di Laurea in Lettere, Tesi di Laurea in Soociologia, Relatore Prof. Foresti Fabio, Sessione II, A.A. 2012-2013

FALDONE TESI DI LAUREA E MONDO POPOLARE
(Fotocopie di brani di tesi)
Giuseppina Colmo, La figura del cantastorie italiano fra passato e presente,  tesi di Laurea discussa all’Università di Torino il 29-6-1987, relatore Prof. Pestelli Giorgio (Storia della Musica), controrelatore Prof. Morteo Gianrenzo (Storia del Teatro)
Walter Cecchelani, Il maggio di Costabona, spettacoli popolari dell'Appennino emiliano, tesi di Laurea discussa all’Università Cattolica di Milano, relatore Prof. Mario Apollonio, A.A. 1966-'67.
Eva Tormene, Studi sui canti popolari Veneto-Lombardi, tesi di Laurea discussa con il Ch.mo Prof. Augusto Marinoni, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lettere Moderne, A.A. 1970-'71.
Lorenza Franzoni, Otello Sarzi Madidini e il Teatro Sperimentale (Setaccio) Burattini e Marionette 1957-1984,  tesi discussa con il Prof. Giuliano Scabia, controrelatore Prof. Remo Melloni, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, A.A. 1984-'85.
Laura Giovanetti, Raccolte inedite di canti popolari della Montagna Pistoiese, tesi di Lurea in Storia della grammatica e della lingua italiana, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Magistero, relatore Chiar.mo Prof. Emilio Peruzzi, A.A. 1971/1972
Elena Aniceti, I Maggi dell’Appennino emiliano nella continuità delle feste agrarie di fertilità, tesi di  Laurea discussa con la Prof.ssa Carla Salsedo Sivelli, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Etnologia, A.A. 1972-1973
Roberto Calvino, Il dibattito intorno alla cultura popolare nel secondo dopoguerra in Italia, tesi di Laurea discussa con la Prof.ssa Maria Luisa Dalai Emiliani, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1974-'75.
Sergio Curioni, Dal concetto romantico di arte popolare alla concezione del mondo delle classi subalterne in Gramsci, tesi di Laurea discussa con la Prof.ssa Marisa Dalai Emiliani, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1974-'75.
Luigi Dall’Aglio, Gli elementi del maggio drammatico attraverso testi e rappresentazioni dell’Appennino reggiano
TESI DI LAUREA E MONDO POPOLARE
Nel 1971 "Il Cantastorie" ha iniziato la pubblicazione di brani tratti da tesi di laurea elaborate su argomenti riguardanti la cultura del mondo popolare. Già dalla metà degli Anni 60 si è andata sviluppando nei giovani una particolare attenzione nei confronti del folklore e delle tradizioni popolari grazie all'introduzione anche nel nostro Paese di una metodologia che affermava l'importanza delle fonti orali. Qui di seguito elenchiamo i contributi che la nostra rivista ha pubblicato.
1971
Walter Cecchelani, Il pubblico del Maggio, n. 6, N.S., novembre, pp. 20-21, da Il maggio di Costabona, spettacoli popolari dell'Appennino emiliano, tesi di Laurea discussa all’Università Cattolica di Milano, relatore Prof. Mario Apollonio, A.A. 1966-'67. Da questa tesi è stato tratto anche La dinamica triade del Maggio, pubblicato nel n. 15, aprile- maggio 1968, p. 19.
Rosanna Del Campo, I cantastorie di un tempo e quelli di oggi, n. 6, N.S., novembre, pp.13-15, da I cantastorie della provincia di Catania, tesi di Laurea discussa con il Prof. Luigi M. Lombardi Satriani, Università di Messina, Facoltà di Magistero, A.A. 1968-'69.
Francesca Traverso, La lingua dei cantastorie, n. 6, N.S., novembre, pp. 15-20,  da I cantastorie italiani,  tesi di Laurea discussa con il Prof. Pietro Scotti, Università di Genova, Facoltà di Lettere, A.A. 1968-'69.
1972
Cristina Melazzi, Il canto di filanda, N.S., n. 7/9, marzo-novembre, pp.36-53, da Il canto di filanda, tesi di Laurea discussa con il Ch.mo Prof. Guglielmo Guariglia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Etnologia, A.A. 1971-'72.
Eva Tormene, Canti popolari lombardi e veneti, N.S., n. 7/9, marzo-novembre, pp. 24-35, Studi sui canti popolari Veneto-Lombardi, tesi di Laurea discussa con il Ch.mo Prof. Augusto Marinoni, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lettere Moderne, A.A. 1970-'71.
1974
Franco Castelli, Indagine sulla cultura orale in provincia di Alessandria, N.S., n. 13, marzo, pp. 18-24, da Canti popolari dell'Alessandrino - Strambotti e stornelli, tesi di Laurea discussa con il Prof. Ettore Bonora (correlatore Prof. Corrado Grassi), Università di Torino, Facoltà di Magistero, Laurea in Materie Letterarie, A.A. 1971.
Elena Aniceti, I Maggi dell’Appennino emiliano nella continuità delle feste agrarie di fertilità, N.S., n. 14, luglio, pp. 24-28, tesi di  Laurea discussa con la Prof.ssa Carla Salsedo Sivelli, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Etnologia, A.A. 1972-1973
1975
Roberto Calvino, Il dibattito intorno alla cultura popolare nel secondo dopoguerra in Italia, N.S., n. 18, novembre, pp. 20-22, introduzione e sommario della tesi di Laurea discussa con la Prof.ssa Maria Luisa Dalai Emiliani, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1974-'75.
Sergio Curioni, Dal concetto romantico di arte popolare alla concezione del mondo delle classi subalterne in Gramsci, N.S., n. 18, novembre, p. 22, introduzione e sommario della tesi di Laurea discussa con la Prof.ssa Marisa Dalai Emiliani, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1974-'75.
1976
Roberto Calvino, Sergio Curioni, La concezione del mondo delle classi subalterne in Gramsci, (I) N.S., n. 19, marzo, pp. 30-37
Roberto Calvino, Sergio Curioni, La concezione del mondo delle classi subalterne in Gramsci, (II), n. 21, N.S., novembre, pp. 58-61. Si tratta di un saggio elaborato dagli autori sulle loro tesi di Laurea delle quali nel '75 sono stati pubblicati introduzioni e sommari.
1977
Antonella Ansani, La struttura della ballata, N.S., n. 22, marzo, pp. 25-39, da La ballata anglo-scozzese di tradizione orale, tesi di laurea discussa con la Prof.ssa Valentina Poggi Ghigi, Università di Bologna, Facoltà di Lettere, Lingue e Letterature Straniere, A.A. 1975-'76.
1981
Laura Amati, “Caserio”, T.S., n. 4 dicembre 1981, dalla tesi di Laurea “La tradizione dei cantastorie in Romagna, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Discipline delle arti della musica e dello spettacolo (DAMS), relatore Chiar.mo Prof Roberto Leydi, A.A. 1979-1980
Manuela Gualerzi, Il disco e la musica popolare (I), T.S., n.4, dicembre, p. 282, da La musica popolare e popolaresca su dischi commerciali 78 rpm in Italia e negli Stati Uniti (1900-1959),  tesi di Laurea discussa con il Prof. Roberto Leydi, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in D.A.M.S., A.A. 1977-'78.
1982
Manuela Gualerzi, Il disco e la musica popolare: l'Italia settentrionale (II), T.S. n. 5, gennaio-marzo, pp. 40-42
Manuela Gualerzi, Il disco e la musica popolare: i Canterini di Romagna (III), T.S., n. 6, aprile-giugno, pp. 61-64
Manuela Gualerzi, Il disco e la musica popolare. La Liguria: il Trallalero (IV), T. S., n. 7, luglio-settembre, pp. 51-53
Manuela Gualerzi, Il disco e la musica popolare: la zampogna (V), T.S., n. 8, ottobre-dicembre, pp. 70-72. Si tratta di brani dalla tesi La musica popolare e popolaresca su dischi commerciali 78 rpm in Italia e negli Stati Uniti (1900 al 1959) la cui pubblicazione è iniziata nel 1981.
1987
Daniela Grassi, Linda Romano, T.S., n. 28, ottobre-dicembre, pp.8-12, da Teatro di piazza e cantastorie in Piemonte, tesi di Laurea discussa con il Prof. Gian Renzo Morteo, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Storia del Teatro, A.A. 1985-'86.
1988
Gilda D'Elia, La festa della Saracca: fra tradizione e innovazione, T.S., n.30/31, pp. 3-9 (Da La Festa della Saracca di Oliveto, tesi di Laurea discussa con il Prof. Giuliano Scabia (correlatore Prof. Remo Melloni), Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1987-'88.
Giuseppina Colmo, La figura del cantastorie e la vita di piazza nella Torino del Settecento visti attraverso i quadri dell'Olivero e del Graneri bamboccianti piemontesi, T.S., n. 32, ottobre-dicembre, pp. 45-53, da La figura del cantastorie fra passato e presente, tesi di Laurea discussa con il Prof. Giorgio Pestelli (Storia della Musica), controrelatore Prof. Gian Renzo Morteo (Storia del Teatro), Università di Torino, A.A. 1986-'87.
Gilda D’Elia, La festa della Saracca: "carne sfamatoria dei tempi miserabili, T.S.,n. 32, ottobre-dicembre, pp. 55-62 (Da La Festa della Saracca di Oliveto, tesi di Laurea discussa con il Prof. Giuliano Scabia (correlatore Prof. Remo Melloni), Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 1987-'88.
1994
Giuseppina Colmo, Incontro con Nonò Salamone (I), T.S., n. 48, luglio-dicembre, pp. 58-60, dalla tesi di laurea La figura del cantastorie italiano fra passato e presente, della quale sono stati pubblicati alcuni brani anche nel 1988.
Lorenza Franzoni, Otello Sarzi Madidini e il Teatro Sperimentale (Setaccio) Burattini e Marionette 1957-1984 (I), T.S., n. 48, luglio-dicembre, pp. 5-10, dalla tesi omonima discussa con il Prof. Giuliano Scabia, controrelatore Prof. Remo Melloni, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, A.A. 1984-'85.
1995
Giuseppina Colmo, Incontro con Nonò Salamone (II), T.S., n. 49, gennaio-giugno, pp. 3-5, dalla tesi di laurea La figura del cantastorie italiano fra passato e presente, della quale sono stati pubblicati brani anche nel 1988 e 1994.
Lorenza Franzoni, Otello Sarzi Madidini e il Teatro Sperimentale (Setaccio) Burattini e Marionette 1957-1984 (II), T.S., n. 50, 1° semestre 1996 [ma annata 1995], pp. 4-17, dalla tesi omonima della quale sono stati pubblicati altri brani nel 1994.
1996
Simone Petricci, Il cantastorie contemporaneo ultimo erede del giullare-cantore ambulante medievale (I), T.S., n. 52, 1996, pp. 46-57, dalla Tesi di Laurea discussa all'Università dgli Studi di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, relatore Prof.ssa Lia Lupini, A.A. 1992-'93
1997
Enrico Maria Rinaldi, Una eresia in vita, T.S., n. 53, 1997, pp. 101-112, da Il teatro come competizione. I match d'Improvvisazione della L.I.I.T., tesi di Laurea di Storia dello Spettacolo, corso di Laurea in D.A.M.S., Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Bologna, relatore Prof. Mario De Marinis, A.A. 19967-'97
1999
Roberta Parravicini, Tra tradizione e innovazione: il caso del cantastorie contemporaneo in Italia Settentrionale, T.S., n. 55, gennaio-giugno, pp. 1-47,dalla tesi di Laurea discussa all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lettere Moderne, relatore Prof. Sisto Dalla Palma, A.A. 1995-'95
Simone Petricci, Il cantastorie contemporaneo ultimo erede del giullare-cantore ambulante medievale (II), T.S., n. 55, gennaio-giugno, pp. 48-57, dalla Tesi di Laurea discussa all'Università dgli Studi di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, relatore Prof.ssa Lia Lupini, A.A. 1992-'93
2002
Tatiana Taiocchi, Storia del teatro e dello spettacolo, introduzione della tesi di Laurea discussa all’Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere Moderne, relatore Prof. Luigi Allegri, correlatore Dott.ssa Giuliana Ferrari, A.A. 1999-2000
2003
Floria Scialino, La figura del cantastorie siciliano novecentesco, un poeta vagabondo, tra tradizione folcloristica e impegno civile (I), T.S., n. 63, gennaio-giugno, pp.  21-27, dalla tesi di Laurea discussa il 5 luglio 2002 all'Università di Nantes, Mémoire de maitrise, relatore Prof. M. Paul Colombani
2004
Ornella Uccello, Le danze delle spade in Europa (I), T.S., n. 66, gennaio-giugno, pp. 1-16, dalla tesi di specializzazione in Storia delle tradizioni popolari, relatore Prof. Marino Niola, correlatore Jane Charlton, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Napoli 2003, Master Europeo "Arte & Culture"
2005
Floria Scialino, La figura del cantastorie siciliano novecentesco, un poeta vagabondo, tra tradizione folcloristica e impegno civile (II), T.S., n. 69, luglio-dicembre, pp. 70-75, dalla tesi di Laurea discussa il 5 luglio 2002 all'Università di Nantes, Mémoire de maitrise, relatore Prof. M. Paul Colombani
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